James Guillaume, “Michele Bakounine”. Note Biografiche (Seconda e Ultima Parte)

Prima parte

Seconda Parte

Libro curato dallo Studio grafico Appiano, 1964, Collana Libertaria, Torino, p. 45
In questa Seconda e Ultima Parte: Capitoli V-IX (pagg. 22-45)

V

Poco è da dire dei primi sei anni del secondo soggiorno di Bakounine in Occidente. Si accorse ben presto che, malgrado l’amicizia personale che lo legava a Herzen e a Ogaref, non poteva associarsi alla loro azione politica, di cui era l’organo il giornale Kolokol. Egli espose le sue idee, nel 1862, in due opuscoli dal titolo: Agli amici russi, polacchi e a tutti gli amici slavi e La Causa del Popolo, Romanof, Pougatchef o Pestel? Quando, nel 1863, scoppiò l’insurrezione polacca, tentò di unirsi agli uomini d’azione che la dirigevano; ma l’organizzazione di una legione russa mancò, la spedizione di Lapinski non ebbe risultato alcuno e Bakounine, che s’era recato a Stoccolma (ove lo raggiunse sua moglie) con la speranza di ottenere un intervento svedese, dovette, nell’ottobre ritornare a Londra senza esser riuscito in alcuno dei suoi progetti. Si portò, allora, in Italia donde, nel 1864, fece un secondo viaggio in Svezia; al ritorno passò per Londra, ove rivide Marx, e per Parigi, ove rivide Proudhon.

Dopo la guerra del 1859 e l’eroica spedizione di Garibaldi del 1860, l’Italia pareva risorgere a nuova vita: Bakounine restò in questo paese fino all’autunno del 1867, dimorando, dapprima, a Firenze e, poi, a Napoli e nei dintorni. Aveva concepito il piano di una organizzazione segreta internazionale dei rivoluzionari, avente per iscopo la propaganda e, ove fosse giunto il momento, l’azione; e fin dal 1864 riuscì a riunire un discreto numero di italiani, di francesi, di scandinavi e di slavi, in questa società segreta che ebbe nome di « Fratellanza internazionale » o di « Alleanza dei rivoluzionari socialisti ». In Italia, Bakounine e i suoi amici si dettero, sopratutto, a lottare contro i mazziniani —- repubblicani autoritari e religiosi aventi per divisa il motto Dio e popolo; — e fu fondato a Napoli il giornale Libertà e Giustizia, nel quale Bakounine svolse il suo programma. Nel luglio 1866, egli mise a parte Herzen e Ogaref dell’esistenza della società segreta a cui consacrava da due anni tutta la sua attività, e ne comunicò loro il programma, del quale essi furono, a detta di lui « molto scandalizzati ». A quel momento, l’organizzazione, secondo ne fa fede Bakounine medesimo, aveva degli aderenti in Svezia, in Norvegia, in Danimarca, in Inghilterra, nel Belgio, in Francia, in Spagna e in Italia, e contava fra i suoi membri anche dei polacchi e dei russi. Nel 1867, alcuni democratici borghesi di varie nazioni, principalmente francesi e tedeschi, fondarono la « Lega della pace e della libertà » e convocarono a Ginevra un Congresso, che ebbe un’eco vivissima. Bakounine, che nutriva ancora illusioni rispetto ai democratici, partecipò a questo Congresso, pronunciandovi un discorso, divenne membro del Comitato centrale della Lega, stabilì la propria residenza in Svizzera (presso Vevey) e, nell’anno seguente, fece il possibile per ridurre i suoi colleghi del Comitato al socialismo rivoluzionario. Al secondo Congresso della Lega, che ebbe luogo a Berna nel settembre 1868, egli fece un tentativo, insieme ad alcuni suoi amici, membri dell’organizzazione segreta fondata nel 1864 — Eliseo Reclus, Aristide Rey, Carlo Keller, Vittorio Jaclard, Giuseppe Fanelli, Saverio Friscia, Nicola Joukovsky, Valeriano Mroczkowski ecc. — per far votare dalla Lega delle decisioni schiettamente socialiste; ma, dopo parecchi giorni di discussione, essendosi i socialisti rivoluzionari trovati in minoranza, dichiararono di separarsi dalla Lega (25 settembre 1868) e fondarono nello stesso giorno, sotto il nome di Alleanza internazionale della democrazia socialista, una associazione nuova, di cui Bakounine redasse il programma.

Questo programma, che riassumeva le concezioni alle quali il suo autore era giunto, dopo una lunga evoluzione cominciata in Germania nel 1842, fra le altre cose, diceva:

« L’Alleanza si dichiara atea; essa vuole l’abolizione definitiva e intera delle classi e l’eguaglianza politica, economica e sociale degli individui dei due sessi; vuole che la terra, gli strumenti del lavoro e ogni altro capitale, divenendo proprietà collettiva della società intera, non possano essere utilizzati che dai lavoratori e cioè dalle associazioni agricole e industriali. Riconosce che tutti gli Stati politici e autoritari attualmente esistenti, tenendo a ridursi sempre più a semplici funzioni amministrative dei servizi pubblici nei loro rispettivi paesi, dovranno sparire e confondersi nella unione universale delle libere associazioni, tanto agricole che industriali ».

Nel costituirsi, l’Alleanza Internazionale della Democrazia Socialista dichiarò di voler formare un ramo dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori, della quale accettò gli statuti generali.

In data del 1° ottobre 1868, era uscito a Ginevra il primo numero di un giornale russo, Narodnoé Diélo, redatto da Michele Bakounine e da Nicola Joukovsky; conteneva un programma intitolato « Programma della democrazia socialista russa », identico nella sostanza a quello che adottò pochi giorni dopo l’Alleanza Internazionale della Democrazia Socialista. Ma, dal secondo numero, il giornale cambiò di redazione e passò nelle mani di Nicola Outine, che gli impresse un carattere tutto differente.

VI

L’Associazione Internazionale dei Lavoratori era stata fondata a Londra il 28 settembre 1864; ma la sua organizzazione definitiva e l’adozione dei suoi statuti datano solo dal suo primo Congresso, tenutosi a Ginevra dal 3 all’8 settembre 1866.

Al suo passaggio da Londra, nell’agosto 1864, Bakounine, che non aveva riveduto Marx dal 1848, ricevette una visita da questi, che volle spiegarsi seco lui riguardo la calunnia già accolta dalla Neue Rheinische Zeitung e che alcuni giornalisti tedeschi avevano rimessa in circolazione nel 1853. Mazzini e Herzen avevano preso, allora, le difese del calunniato, che era prigioniero nella fortezza russa, e Marx aveva dichiarato, nel giornale inglese Morning Advertiser, che egli non entrava per nulla in questa calunnia, aggiungendo che Bakounine era suo amico. Ciò Marx ripetè a Bakounine a Londra, e lo esortò ad unirsi all’Internazionale; ma questi, ritornato che fu in Italia, amò meglio consacrarsi intieramente all’organizzazione segreta di cui facemmo menzione.

L’Internazionale, allora, all’infuori del Consiglio generale di Londra, non era rappresentata che da un gruppo di operai mutualisti di Parigi, e nulla faceva prevedere l’importanza che era per assumere. Fu solo dopo il secondo Congresso (tenutosi a Losanna nel settembre 1867) e dopo i due processi di Parigi e il grande sciopero di Ginevra (1868), che l’attenzione di tutta Europa si rivolse su questa associazione divenuta una vera potenza, della quale non potevasi più disconoscere l’importanza come leva d’azione rivoluzionaria. Nel terzo Congresso (Bruxelles, settembre 1868) si delinearono le idee collettiviste in opposizione al cooperativismo. Bakounine, nel luglio dello stesso anno, si fece ammettere come membro nella sezione di Ginevra e, dopo la sua uscita dalla Lega della Pace al Congresso di Berna, stabilì dimora a Ginevra per poter prendere attiva parte al movimento operaio di questa città.

La propaganda e l’organizzazione ricevettero nuovo impulso. Un viaggio del socialista italiano Fanelli in Spagna, ebbe per risultato la fondazione delle sezioni internazionali di Madrid e di Barcellona. Le Sezioni della Svizzera francese si unirono in una federazione che prese il nome di Federazione romanda ed ebbe per organo il giornale l’Egalité, uscito nel gennaio del 1869. Nel Giura svizzero si ingaggiò una lotta contro dei falsi socialisti che ostacolavano il movimento, lotta che terminò con l’adesione della maggioranza degli operai al socialismo rivoluzionario. Non poche volte Bakounine si recò nel Giura a portare l’ausilio della sua parola a quelli che lottavano contro « la reazione mascherata da cooperazione », e fu allora che contrasse l’amicizia che mai venne meno, con i rivoluzionari di quella regione. Anche a Ginevra, un conflitto sorto fra gli operai muratori, socialisti rivoluzionari d’istinto, e gli orologiai e gioiellieri, che volevano partecipare alle lotte elettorali e allearsi ai politicanti radicali, ebbe termine, grazie a Bakounine — che condusse nell’Egalité una energica campagna, esponendo in una serie di articoli notevoli il programma della « politica dell’Internazionale » — con la vittoria, disgraziatamente solo momentanea, dell’elemento rivoluzionario. Le Sezioni dell’Internazionale in Francia, nel Belgio e nella Spagna procedevano, nella loro opera, d’accordo con quelle della Svizzera francese ed era a prevedersi, che al prossimo Congresso generale dell’Associazione, le idee collettiviste avrebbero ottenuto la maggioranza dei suffragi.

Il Consiglio generale di Londra non aveva voluto ammettere l’Alleanza Internazionale della Democrazia Socialista come ramo della Internazionale adducendo per ragione che la nuova società, costituendo un secondo corpo internazionale, avrebbe portato nell’altro, se accoltovi, la disorganizzazione. Uno dei motivi che avevano dettato questa decisione era l’avversione di Marx verso Bakounine, nel quale l’illustre comunista tedesco credeva vedere un « intrigante » che voleva « rovesciare l’Internazionale e trasformarla in istrumento proprio »; ma, indipendentemente dai sentimenti personali di Marx, è certo che l’idea di creare, a fianco dell’Internazionale, una seconda organizzazione, era una idea sbagliata.

Ciò fecero osservare a Bakounine alcuni dei suoi amici belgi e giurassiani ed egli finì col dar loro ragione, riconoscendo la giustezza della decisione del Consiglio Generale. Conseguentemente, l’Ufficio centrale dell’Alleanza, dopo aver consultato gli aderenti di questa organizzazione, ne pronunciò, d’accordo con essi, lo scioglimento; il gruppo locale che s’era constituito a Ginevra si trasformò in una semplice Sezione dell’Internazionale e come tale fu ammesso dal Consiglio generale (luglio 1869).

Al quarto Congresso generale (Basilea 6-12 settembre 1869) la quasi unanimità dei delegati si pronunciò per la proprietà collettiva; ma si potè, allora, constatare che v’erano fra loro due correnti distinte: gli uni (tedeschi, svizzeri tedeschi, inglesi) erano comunisti di Stato; gli altri (belgi, svizzeri francesi, spagnuoli e quasi tutti i francesi) erano comunisti anti-autoritari, o federalisti, o anarchici e presero il nome di collettivisti. Bakounine, naturalmente, apparteneva a questa seconda frazione, e con lui era, fra gli altri, il belga De Paepe e il parigino Varlin.

L’organizzazione segreta, fondata nel 1864 s’era sciolta nel gennaio 1869 in seguito ad una crisi interna; tuttavia parecchi dei suoi membri avevano continuato a tenersi in relazione e al loro gruppo s’erano aggiunti alcuni aderenti svizzeri, spagnuoli e francesi fra cui Varlin.

Questo libero aggrupparsi di uomini, per l’azione collettiva, in una fratellanza rivoluzionaria, doveva, si pensava, conferire più forza e coesione al grande movimento di cui era espressione l’Internazionale.

Nell’estate del 1869, un amico di Marx, Borkheim, aveva riprodotto nella Zukunft di Berlino la vecchia calunnia che rappresentava Bakounine come un agente del governo russo, e Liebknecht aveva in più occasioni ripetuto questa asserzione. Essendosi quest’ultimo recato a Basilea pel Congresso, Bakounine lo invitò a dare spiegazioni davanti ad un giurì d’onore, dove il socialista sassone affermò di non aver mai accusato Bakounine ma solo di aver ripetuto delle cose lette in un giornale. Il giurì dichiarò all’unanimità che Liebknecht aveva agito con colpevole leggerezza e rilasciò a Bakounine una dichiarazione scritta in tal senso e firmata dai suoi membri. Liebknecht, riconoscendo ch’era stato indotto in errore, tese la mano a Bakounine e questi bruciò la dichiarazione del giurì servendosene per accendere la sigaretta.

Dopo il Congresso di Basilea, Bakounine lasciò Ginevra e si ritirò a Locarno; questa risoluzione gli era stata dettata da motivi di ordine strettamente privato, uno dei quali era la necessità di stabilirsi in un luogo ove la vita fosse a buon mercato ed ove potesse dedicarsi tranquillamente ai lavori di traduzione che aveva intenzione di fare per un editore di Pietroburgo (trattavasi, innanzi tutto, d’una traduzione del primo volume del Capitale di Marx, stampato nel 1867).

Ma la partenza di Baokunine da Ginevra lasciò, sfortunatamente, libero il campo agli intriganti politici che, associandosi alle male arti di un emigrato russo, Nicola Outine, troppo conosciuto pel triste officio che esercitò nell’Internazionale, riuscirono in pochi mesi a disorganizzare l’Internazionale ginevrina e ad impadronirsi della redazione de l’Egalité. Marx, che era sempre accecato dai rancori e dalle piccole gelosie contro Bakounine, non disdegnò di contrarre alleanza

con Outine e con i politicanti pseudo-socialisti di Ginevra, gli uomini del « Tempio Unico » (4) nello stesso tempo che, con una « Comunicazione confidenziale » (28 marzo 1870) mandata ai suoi amici di Germania, si studiava di perdere Bakounine nell’opinione dei democratici socialisti tedeschi, raffigurandolo come l’agente del partito panslavista, dal quale, secondo Marx, riceveva venticinque mila lire all’anno.

Gli intrighi di Outine e dei suoi amici ginevrini riuscirono a provocare una scissione nella Federazione romanda, la quale, nell’aprile 1870, si divise in due frazioni: l’una, d’accordo con gli internazionalisti di Francia, del Belgio e della Spagna, si pronunciò per la politica rivoluzionaria, dichiarando che « ogni partecipazione della classe operaia alla politica borghese governativa non può sortire altri risultati che il consolidamento del regime esistente »; l’altra frazione « professava l’intervento politico e le candidature operaie ».

Il Consiglio Generale di Londra, i tedeschi e gli svizzeri tedeschi presero partito per la seconda di queste frazioni (frazione di Outine e del Tempio Unico), mentre i francesi, i belgi e gli spagnuoli aderivano all’altra (frazione del Giura).

Bakounine aveva allora la mente rivolta agli affari di Russia. Nella primavera del 1869 era entrato in relazione con Netchaief. Credeva egli alla possibilità di organizzare in Russia una vasta insurrezione di contadini, come al tempo di Stenko Razine; e il ritorno due volte secolare dell’anno della grande rivolta (1869) gli sembrava una coincidenza quasi profetica. Fu in quel tempo che scrisse in russo l’appello intitolato: Alcune parole ai giovani fratelli di Russia e l’opuscolo La scienza e l’attuale causa rivoluzionaria.

Netchaief ritornò in Russia, ma dovette fuggirne di nuovo dopo l’arresto di quasi tutti i suoi amici e la distruzione del suo piano di organizzazione e, nel gennaio 1870, fece ritorno in Svizzera. Esigè da Bakounine che questi abbandonasse la traduzione incominciata del Capitale (5), per consacrarsi interamente alla propaganda rivoluzionaria russa, e ottenne da Ogaref, per il Comitato russo di cui si diceva il mandatario, la consegna nelle sue mani della somma constituente il « fondo Bakhmétief ». Una parte di questo danaro eragli già stato confidato da Herzen l’anno precedente. Bakounine scrisse in russo l’opuscolo Agli ufficiali dell’esercito russo e in francese l’altro dal titolo: Gli orsi di Berna e l’orso di Pietroburgo; fece anche uscire alcuni numeri di una nuova serie del Kolokol e spiegò per alcuni mesi una grande attività; ma finì per accorgersi che Netchaief intendeva servirsi di lui come di un semplice strumento ed aveva ricorso, per assicurarsi una dittatura personale, a procedimenti gesuitici.

Dopo una spiegazione avuta col giovane rivoluzionario a Ginevra nel luglio 1870, la ruppe con lui completamente. Era stato vittima della sua troppo grande fiducia e dell’ammirazione che gli aveva in sul principio ispirato l’energia selvaggia di Netchaief. « Non c’è nullla da dire » — scrisse Bakounine dopo questa rottura a Ogaref — « abbiam fatto bellamente la parte di idioti! Come si riderebbe di noi Herzen se fosse qui, e con quanta ragione! Basta, non ci resta che ingoiare questa amara pillola, che ci renderà più prudenti per l’avvenire » (2 agosto 1870).

VII

Intanto, era scoppiata la guerra fra la Germania e la Francia, e Bakounine ne seguiva il corso con interesse appassionato e con ansia. « Tu non sei che un russo », — scriveva l’11 agosto a Ogaref — « mentre io sono internazionale».

Ai suoi occhi, la vittoria della Germania feudale e militare sulla Francia altro non doveva essere che il trionfo della contro-rivoluzione, il quale potevasi evitare solo chiamando il popolo francese a levarsi in armi in massa e per respingere l’invasore straniero e per sbarazzarsi dei tiranni interni che lo opprimevano economicamente e politicamente. In una lettera ai suoi amici socialisti di Lione, si esprimeva in questi termini:

« Il movimento patriottico del 1792 non è nulla in confronto di quello che dovete fare ora se volete salvar la Francia… Levatevi, dunque, o amici, al canto della Marsigliese che oggi ritorna il canto legittimo della Francia, il canto della libertà, il canto del popolo, il canto dell’umanità — poiché la causa della Francia è finalmente ridiventata la causa dell’umanità. Facendo del patriottismo noi salveremo la libertà di tutti i popoli. Ah!, s’io fossi giovane non scriverei, no, delle lettere ma sarei tra voi! ».

Un corrispondente del Volks Staat (il giornale di Liebknecht) aveva scritto che gli operai parigini erano « indifferenti alla guerra attuale ». Bakounine s’indigna che si possa loro attribuire una apatia che sarebbe delittuosa; e scrive per dimostrare che non possono disinteressarsi dell’invasione tedesca, che debbono assolutamente difendere la loro libertà contro le bande armate del dispotismo prussiano.

« Ah! —esclama, — se la Francia fosse invasa da un esercito di proletari tedeschi, inglesi, belgi, spagnuoli, italiani, innalzanti il vessillo del socialismo rivoluzionario e annunciami al mondo l’emancipazione finale del lavoro, sarei io stato il primo a gridare agli operai di Francia: Aprite loro le braccia, poiché sono i vostri fratelli, ed unitevi a loro per spezzare i resti imputriditi del mondo borghese! Ma l’invasione che disonora oggi la Francia è una invasione aristocratica, monarchica e militare… Restando passivi innanzi a questa invasione, gli operai francesi non tradirebbero solo la loro libertà, ma tradirebbero ancora la causa del proletariato del mondo intero, la causa santa del socialismo rivoluzionario ».

Le idee di Bakounine sulla situazione e sui mezzi da impiegare per salvare la Francia, furono da lui esposte in un breve opuscolo che uscì per le stampe, senza nome d’autore, nel settembre sotto il titolo di Lettere ad un Francese sulla crisi attuale.

Il 9 settembre lasciava Locarno per recarsi a Lione ove arrivò il 15. Ben presto si organizzò un « Comitato di salute della Francia », del quale egli fu il membro più attivo, per tentare un moto rivoluzionario. Il programma di questo movimento fu pubblicato, il 26 settembre, in un rosso manifesto portante le firme dei rappresentanti di Lione, di Saint-Etienne, di Tarare e di Marsiglia; Bakounine, benché straniero, non esitò affatto ad unire la sua firma a quella dei suoi amici, per dividere con essi e pericoli e responsabilità. Il manifesto, dopo aver dichiarato che « la macchina amministrativa e governativa dello Stato, divenuta impotente, era abolita » e che « il popolo di Francia rientrava in possesso della sua libertà », proponeva la formazione, in tutti i comuni federati, di Comitati di salute della Francia e l’invio a Lione di due rappresentanti per ciascun Comitato di capoluogo di dipartimento « per formare la Convenzione rivoluzionaria della Francia ». Un movimento popolare mise i rivoluzionari, il 28 settembre, in possesso del palazzo municipale di Lione; ma il tradimento del generale Cluseret e la codardia di alcuni di quelli nei quali il popolo aveva posto la propria fiducia, fecero fallire questo tentativo. Bakounine, contro cui il procuratore della Repubblica, Andrieux, aveva spiccato mandato d’arresto, riuscì a guadagnare Marsiglia, ove si tenne per qualche tempo nascosto, tentando di preparare una nuova insurrezione. A quel tempo, le autorità francesi facevano correr la voce che egli fosse un agente pagato dalla Prussia e che il governo della Difesa nazionale ne possedeva le prove; e da parte sua, il Volksstaat di Liebknecht stampava, a proposito del moto del 28 settembre e del programma in quella occasione pubblicato, queste parole:

« Meglio non si avrebbe potuto fare all’ufficio della stampa di Berlino, per servire ai disegni di Bismark ».

Il 24 ottobre, disperando della Francia, Bakounine lasciava Marsiglia a bordo di una nave il cui capitano era amico dei suoi amici, per ritornare a Locarno, passando per Genova e Milano. Alla vigilia della partenza, così scriveva al socialista spagnuolo Sentinon, che era venuto in Francia con la speranza di prender parte al movimento rivoluzionario: « Il popolo di Francia non è più rivoluzionario affatto… Il militarismo e il burocratismo, l’arroganza nobiliare e il gesuitismo protestante dei Prussiani, alleati teneramente al Knout del mio caro sovrano e padrone, l’imperatore di tutte le Russie, trionferanno su tutto il continente d’Europa e Dio sa per quante decine di anni. Addio tutti i nostri sogni di emancipazione prossima! ».

Il moto che scoppiò a Marsiglia il 31 ottobre, e cioè sette giorni dopo la partenza di Bakounine, non fece che confermarlo nel suo giudizio pessimista: il Comune rivoluzionario che, alla notizia della capitolazione di Bazaine, s’era insediato al palazzo municipale, non seppe mantenersi al potere più di cinque giorni e il 4 novembre abdicò nelle mani del commissario Alfonso Gent, inviato da Gambetta.

A Locarno, ove passò tutto l’inverno nella solitudine e alle prese con la più nera miseria, Bakounine scrisse, come seguito alle sue Lettres à un Français, una esposizione del nuovo stato dell’Europa, che comparve in primavera del 1871 sotto questo titolo caratteristico: L’Empire knouto-germanique et la Révolution sociale. La notizia della insurrezione parigina del 18 marzo venne a smentire in parte i suoi oscuri pronostici, mostrando che il proletariato parigino aveva conservato la propria energia e il proprio spirito di ribellione.

Ma l’eroismo del popolo di Parigi doveva essere impotente a galvanizzare la Francia prostrata e vinta; i tentativi fatti in più luoghi, in provincia, per generalizzare il movimento comunalista, fallirono e i coraggiosi insorti parigini furono, infine, schiacciati sotto il numero. Bakounine, che si era recato (27 aprile) in mezzo ai suoi amici del Giura per trovarsi più vicino alla frontiera francese, dovette ritornare a Locarno senza aver potuto agire (1° giugno). Ma, questa volta, non si abbandonò allo sconforto. La Comune di Parigi, oggetto dell’odio furioso di tutte le reazioni coalizzate, aveva riacceso nel cuore degli sfruttati una scintilla di speranza; il proletariato di tutto il mondo salutava, nel popolo eroico, che aveva versato tanto sangue per l’emancipazione umana, « il Satana moderno, il gran ribelle vinto ma non domato ». Il patrioti a italiano Mazzini aveva unito la sua voce a quelle che maledivano Parigi e l’Internazionale; Bakounine scrisse allora la Risposta di un internazionalista a Mazzini che fu stampata contemporaneamente in italiano e in francese (agosto 1871) scritto che levò in Italia grande rumore e produsse nella gioventù e fra gli operai di questo paese un movimento d’opinione che dette origine, verso la fine del 1871, a numerose Sezioni dell’Internazionale. Un secondo opuscolo, La teologia politica di Mazzini e l’Internazionale, compì l’opera iniziata e Baokunine, che, con l’invio di Fanelli in Spagna nel 1868, era stato il creatore dell’Internazionale spagnuola, si trovò, per la sua polemica contro il Mazzini nel 1871, il creatore di quella Internazionale italiana che doveva gettarsi con tanto ardore nella lotta, non solo contro la dominazione della borghesia sul proletariato, ma anche contro il tentativo degli uomini che volevano instaurare il principio di autorità nell’Associazione Internazionale dei Lavoratori.

VIII

La scissione in seno alla Federazione romanda, che avrebbe potuto terminare con una riconciliazione se il Consiglio generale di Londra l’avesse voluto e se l’agente di esso Consiglio, Outine, fosse stato meno perfido, si era agravata ed era divenuta irrimediabile. Nell’agosto 1870, Bakounine e tre suoi amici erano stati espulsi dalla Sezione di Ginevra, per avere manifestato la loro simpatia per i Giurassiani.

Subito dopo la fine della guerra del 1870-71, alcuni incaricati di Marx si portarono a Ginevra per ravvivarvi le discordie. I membri della Sezione dell’Alleanza vollero, allora, dare una prova delle loro intenzioni pacifiche pronunciando lo scioglimento della loro Sezione; ma il partito di Marx e di Outine non fu per questo disarmato: una nuova Sezione, detta di propaganda e di azione rivoluzionaria socialista, constituita a Ginevra dai comunardi ivi rifugiati e nella quale erano entrati gli antichi membri della Sezione dell’Alleanza, si vide rifiutare l’ammissione dal Consiglio generale. Invece di un Congresso generale dell’Internazionale, il Consiglio, dominato da Marx e da Engels, convocò a Londra, nel settembre 1871, una Conferenza segreta alla quale presero parte quasi esclusivamente creature di Marx, cui tornò facile far prendere delle decisioni, che distruggevano l’autonomia delle Sezioni e Federazioni dell’Internazionale, accordando al Consiglio generale una autorità contraria agli statuti fondamentali dell’Associazione. La Conferenza pretese ancora organizzare, sotto la direzione di questo Consiglio, ciò che essa chiamava « l’azione politica della classe operaia ».

Urgeva non lasciare assorbire l’Internazionale, vasta federazione di gruppi organizzati per la lotta contro lo sfruttamento capitalistico, da una piccola consorteria di settari marxisti e blanquisti. Le Sezioni del Giura insieme alla Sezione di propaganda di Ginevra si constituirono, il 12 novembre 1871, a Sonvillier, in Federazione del Giura e rivolsero a tutte le Federazioni dell’Internazionale una circolare per invitarle ad unirsi a loro onde resistere agli usurpatori del Consiglio generale e rivendicare energicamente la propria autonomia.

« La società futura — diceva la circolare — altro non deve essere che la estensione alla universalità della organizzazione che l’Internazionale si sarà data. Dobbiamo, dunque, aver cura di avvicinare il più possibile questa organizzazione al nostro ideale. Come potrebbe uscire una società egualitaria e libera da una organizzazione autoritaria? L’Internazionale, embrione della futura società umana, deve essere fin da ora l’imagine fedele dei nostri princìpi di libertà e di federazione e deve rigettar dal suo seno ogni principio che tenda all’autorità e alla dittatura ».

Bakounine accolse con entusiasmo la circolare di Sonvillier e si dette a propagarne, con grande attività, i princìpi nelle Sezioni italiane. La Spagna, il Belgio, le più delle Sezioni di Francia — riorganizzatesi, malgrado la reazione versagliese, sotto forma di gruppi segreti — e la maggioranza delle Sezioni degli Stati Uniti, si pronunciarono nello stesso senso che la Federazione del Giura; e si potè ben presto esser certi che il tentativo di Marx e dei suoi alleati per stabilire il loro dominio nell’Internazionale sarebbe per fallire. La prima metà del 1872 fu segnata da una « circolare confidenziale » del Consiglio generale, opera di Marx, stampata in opuscolo portante per titolo Les prétendues scissions dans l’Internationale. In essa i principali militanti del partito autonomista o federalista erano attaccati personalmente e diffamati e le proteste levatesi da ogni parte contro alcuni atti del Consiglio generale erano rappresentate come il risultato di un intrigo ordito dai membri dell’antica Alleanza internazionale della democrazia socialista, che sotto la direzione del « papa misterioso di Locarno » lavoravano alla distruzione dell’Internazionale. Bakounine qualificò questa circolare come si meritava, scrivendo così ai suoi amici: « La spada di Damocle di cui ci si è minacciati da parecchio tempo è finalmente caduta sul nostro capo. Non è propriamente una spada, ma l’arma abituale del signor Marx, un mucchio di sozzure ».

Bakounine passò l’estate e l’autunno del 1872 a Zurigo, ove nell’agosto fu fondata, dietro sua iniziativa, una Sezione slava, composta quasi intieramente di studenti e studentesse russe e serbe, che aderì alla Federazione del Giura dell’Internazionale. Fin dal mese di aprile — quando trovavasi a Locarno — egli si era messo in relazione con alcuni giovani russi dimoranti nella Svizzera e li aveva organizzati in un gruppo segreto di azione e di propaganda. Dei membri di questo gruppo il militante più attivo fu Armando Ross (Michele Sajine), che, intimo di Bakounine fin dall’estate del 1870, restò fino alla primavera del 1876 il principale intermediario fra il grande agitatore rivoluzionario e la gioventù di Russia.

Si può dire che alla propaganda fatta in questo tempo da Bakounine si dovette l’impulso dato, negli anni che seguirono, a questa gioventù: fu lui che lanciò la parola d’ordine che la gioventù doveva mescolarsi col popolo. Sajine creò a Zurigo una stamperia russa che pubblicò nel 1873, sotto il titolo di Istoritcheskoé razvitié ìnternatsionala, una raccolta di articoli comparsi nei giornali socialisti belgi e svizzeri con alcune note illustrative di vari autori, fra cui un capitolo sull’Alleanza scritto da Bakounine. Nel 1874 pubblicò, pure di Bakounine, lo studio intitolato Gosourdarstvennost i Anarkhia (6). Un conflitto sorto con Pietro Lavrof e dei dissensi personali fra alcuni membri dovevano nel 1873 cagionare la dissoluzione della Sezione slava di Zurigo.

Il Consiglio generale s’era deciso a convocare per il 2 settembre 1872 un Congresso generale; ma come sede di esso scelse l’Aia per potere più facilmente condurvi da Londra gran numero di delegati devoti alla sua politica o provvisti di mandati immaginari e per rendere più diffìcile l’intervento ai rappresentanti delle Federazioni lontane e impossibile a Bakounine. La Federazione italiana da poco constituita s’astenne dal mandare rappresentanti, la Federazione spagnuola ne mandò quattro, la Federazione del Giura due, la Federazione belga sette, la Federazione olandese quattro, la Federazione inglese cinque: e questi ventuno delegati, soli veri rapprtsentanti dell’Internazionale, formarono il nucleo della minoranza. La maggioranza, in numero di quaranta uomini, non rappresentanti in realtà che la loro propria persona era preventivamente decisa a far tutto ciò che fosse piaciuto imporre alla cricca di cui Marx ed Engels erano i capi.

Il solo atto del Consiglio dell’Aia di cui parleremo fu l’espulsione di Bakounine, che fu pronunciata l’ultimo giorno (7 settembre) quando già un terzo dei rappresentanti era partito, con ventisette voti contro sette no ed otto astensioni. I motivi addotti da Marx e dai suoi partigiani per domandare, dopo un’apparenza di inchiesta condotta ad occhi chiusi da una commissione di cinque membri, l’espulsione di Bakounine, erano i seguenti: « È provato da un progetto di statuto e da lettere portanti la firma Bakounine, che questo cittadino ha tentato e forse è riuscito a fondare, in Europa, una società chiamata l’Alleanza, avente statuti del tutto differenti, dal punto di vista sociale e politico, da quelli dell’Associazione internazionale dei lavoratori; — il cittadino Bakounine ha compiuti atti fraudolenti per impadronirsi di tutto o parte dell’altrui avere, ciò che costituisce una truffa; inoltre, per non soddisfare ai suoi impegni egli o i suoi agenti hanno ricorso all’intimidazione ». È questa seconda parte dell’atto d’accusa marxista — alludente ai trecento rubli ricevuti in anticipazione da Bakounine per la traduzione del Capitale e alla lettera scritta da Netchaief all’editore Poliakof — che ho più sopra qualificato per tentativo di assassinio morale.

Contro questa infamia fu subito pubblicata, da un gruppo di emigranti russi, una protesta, di cui mi piace riportare i punti principali:

« Ginevra e Zurigo, 4 ottobre 1872… Si è osato lanciare contro il nostro amico Michele Bakounine l’acusa di truffa e di ricatto… Noi non crediamo nè necessario nè opportuno discutere ora i pretesi fatti sui quali si è appoggiata l’accusa portata contro il nostro compatriotta e amico. Questi fatti ci sono noti nei più piccoli lor particolari e ci faremo un dovere di ristabilirli nella loro verità appena ci sarà permesso di farlo. Ora ce ne impedisce la condizione disgraziata di un altro nostro compatriotta, che non è nostro amico ma che le persecuzioni, di cui in questo momento è vittima da

parte del governo russo, ci rendono sacro (7). Il signor Marx, a cui non contestiamo, d’altra parte, l’abilità, si è in questa occasione male apposto. I cuori onesti di tutti i paesi sentiranno solo indignazione e disgusto per un tale intrigo, per una violazione si flagrante dei più elementari princìpi di giustizia. Quanto alla Russia, stia certo il signor Marx che tutte le sue manovre non vi avranno potere: Bakounine vi è troppo stimato e conosciuto perchè la calunnia possa raggiungerlo… — Nicola Agaref — Bartolomeo Zavzef — Woldemar Orezof — Armando Ross — Woldemar Holtein — Zemphiri Rally — Alessandro Oelsnitz —- Valeriano Smirnof »

IX

All’indomani del Congresso dell’Aia, il 15 settembre, si riunì a Saint-Imier (Giura svizzero) un altro congresso a cui presero parte i rappresentanti delle Federazioni italiana, spagnuola e giurassiana e di alcune sezioni francesi e americane. Questo congresso dichiarò, all’unanimità, « di rigettare in modo assoluto le deliberazioni del Congresso dell’Aia e di non riconoscere affatto i poteri del nuovo Consiglio generale da esso nominato », Consiglio che era stato trasferito a New-York. La Federazione italiana aveva anticipatamente confermato le risoluzioni di Saint-Imier alla Conferenza di Rimini tenutasi il 4 agosto; la Federazione del Giura le confermò in un Congresso speciale tenutosi lo stesso giorno 15 settembre; la maggior parte delle Sezioni francesi si affrettarono a mandare la loro intera approvazione; la Federazione spagnuola e belga confermarono, alla loro volta, le prese deliberazioni nei loro Congressi che ebbero luogo a Cordova e a Bruxelles nella settimana di Natale del 1872; e così pure fecero la Federazione americana, nella seduta del suo Consiglio federale (New-York, Spring Street) del 19 gennaio 1873, e la Federazione inglese — ove si trovavano due dei vecchi amici di Marx, Eccarius e Jung, che i suoi procedimenti avevano alienati da lui (8) — nel suo Congresso del 26 gennaio 1873.

Il Consiglio generale di New-York, volendo usare dei poteri conferitigli dal Congresso dell’Aia, pronunciò, il 5 gennaio 1873, la « sospensione » della Federazione del Giura, dichiarata ribelle; ma questo atto ebbe solo per risultato che la Federazione olandese, già neutrale, ruppe il riserbo e si unì alle altre sette Federazioni dell’Internazionale, dichiarando, il 14 febbraio 1873, di non riconoscere la sospensione della Federazione del Giura.

Così pure, la pubblicazione da parte di Marx e del piccolo gruppo restatogli fedele di un libello pieno delle più grossolane menzogne, dal titolo L’Alliance de la démocratie socialiste e l’Association international des travailleurs, non sortì altro effetto che di provocare il disgusto di quelli che lessero questo triste prodotto di un odio cieco.

Il primo settembre 1873 si apriva a Ginevra il sesto Congresso generale dell’Internazionale: erano rappresentate le Federazioni del Belgio, dell’Olanda, dell’Italia, della Spagna, della Francia, dell’Inghilterra e del Giura svizzero; i socialisti lassalliani di Berlino avevano mandato un dispaccio di simpatia portante le firme di Hasenclever e Hasselmann.

Il Congresso si occupò della revisione degli statuti dell’Internazionale; pronunciò la soppressione del Consiglio generale e fece dell’Internazionale una libera federazione senza alcuna autorità dirigente. « Le Federazioni e le Sezioni componenti l’Associazione — dicono i nuovi statuti (articolo 3) — conservano la loro completa autonomia, cioè il diritto di organizzarsi secondo la loro volontà — di amministrare i loro proprii affari senza alcuna ingerenza esterna e di tracciarsi da sè la via che intendono percorrere per raggiungere l’emancipazione del lavoro ».

Bakounine era stanco di una lunga vita di lotte. La prigione lo aveva invecchiato innanzi tempo; la sua salute era seriamente scossa ed egli ora aspirava al riposo ed alla solitudine. Quando vide riorganizzata l’Internazionale col trionfo del principio di libera federazione, pensò esser venuto il momento di congedarsi dai suoi compagni; e rivolse ai membri della Federazione del Giura una lettera (pubblicata il 12 ottobre 1873) « per pregarli di volere accettare le sue dimissioni da membro della Federazione del Giura e dell’Internazionale », aggiungendo: « Non sento d’aver più le forze necessarie per la lotta ed altro non sarei nel campo del proletariato che un ingombro, non un aiuto… Dunque, cari compagni, mi ritiro, pieno di riconoscenza per voi e di simpatia per la vostra grande e santa causa — la causa dell’umanità. Continuerò a seguire con fraterna ansietà tutti i vostri passi e saluterò con gioia ogni vostro nuovo trionfo. Sarò vostro fino alla morte ». Non gli restavano a vivere neppure tre anni.

Il suo amico, il rivoluzionario italiano Carlo Cafiero, gli dette ospitalità in una villa che aveva comprato presso Locarno. Là, Bakounine visse fino alla metà del 1874 nella tranquillità e nella sicurezza e godendo di un relativo benessere. Tuttavia, non aveva cessato di considerarsi soldato della Rivoluzione; avendo i suoi amici italiani preparato un moto insurrezionale si portò (nel luglio 1874) a Bologna per prendervi parte. Il movimento, mal preparato, abortì e Bakounine dovette ritornare in Svizzera travestito.

In questo tempo una nube passò sull’amicizia che univa Bakounine a Cafiero. Questi, che aveva fatto sacrificio alla causa rivoluzionaria di tutta la sua sostanza, si trovava, per un succedersi di circostanze che non possono qui esser dette, rovinato e si vide costretto a vendere la sua villa. Bakounine dovette lasciare Locarno; andò a stabilirsi a Lugano, ove, per la rimessa che gli fecero i suoi fratelli di una parte dell’eredità paterna, potè, lui e la famiglia, non mancare di mezzi di susistenza. Del resto, il momentaneo raffreddamento nei suoi rapporti con Cafiero durò poco e ben presto le relazioni amichevoli si ristabilirono. Ma la malattia progrediva e ne risentivano gli effetti nello stesso tempo lo spirito ed il corpo, sì che nel 1875 Baokunine altro non era che l’ombra di se stesso. Nel giugno 1876, sperando sollievo ai suoi mali, abbandonò Lugano per recarsi a Berna; appena arrivatovi (il 14 giugno) disse al suo amico il dottor Adolfo Vogt: « Vengo perchè tu mi ristabilisca sui miei piedi o per morire qui ».

Fu posto in una clinica (J. L. Hug-Braun’s Kranken-pension, Mattenhof, 317), ove ebbe per quindici giorni le cure affettuose dei suoi amici Vogt e Reichel.

In una delle sue ultime conversazioni, parlando di Schopenhauer, ebbe a parlare così: « Tutta la nostra filosofia poggia su una base falsa: essa parte sempre da un principio per cui si considera l’uomo come individuo e non, come è giusto, quale un essere appartenente a una collettività. Da ciò la maggior parte degli errori filosofici che riescono o alla concezione di una felicità fuori della vita o ad un pessimismo come quello di Schopenhauer e di Hartmann ».

Il 21, così disse al suo amico che esprimeva il rimpianto che Bakounine non avesse mai trovato il tempo di scrivere le proprie memorie: « E per chi vorresti ch’io le avessi scritte? Non vai la pena d’aprir bocca. Oggi i popoli di tutti i paesi hanno perduto l’istinto della rivoluzione… No, se ritroverò ancora un po’ di salute, voglio piuttosto scrivere una morale basata sui princìpi del collettivismo, senza frasi filosofiche o religiose ». Morì il 1° luglio, a mezzogiorno.

Il tre di luglio dei socialisti di diverse parti della Svizzera giungevano a Berna per rendere gli ultimi onori a Michele Bakounine. Furono pronunciati sulla sua tomba discorsi da alcuni dei suoi amici della Federazione del Giura: Adhémar Schwitzguebel, James Guillaume, Eliseo Reclus; da Nicola Joukovsky per i russi, da Paolo Brousse per la gioventù rivoluzionaria francese, da Carlo Salvioni per la gioventù rivoluzionaria italiana, da Betsien per il proletariato tedesco. In una riunione che ebbe luogo dopo la cerimonia, uno stesso voto uscì da tutte le bocche: l’oblìo sulla tomba di Bakounine di tutte le discordie puramente personali e l’unione sul terreno della libertà di tutte le frazioni del partito socialista dei due mondi; e, all’unanimità fu approvata la risoluzione seguente:

« I lavoratori riuniti a Berna per la morte di Michele Bakounine e appartenenti a cinque nazioni differenti, partigiani gli uni dello Stato operaio, gli altri della libera federazione dei gruppi di produttori, pensano che una riconciliazione è, non solo utilissima e desiderabilissima, ma anche possibile, sul terreno dei princìpi dell’Internazionale quali sono formulati all’articolo 3 degli statuti generali riveduti al Congresso di Ginevra del 1873.

« In conseguenza, l’assemblea riunita a Berna propone a tutti i lavoratori di dimenticare le vane e dannose dissenzioni passate e di unirsi più strettamente sulla base dei princìpi enunciati all’articolo 3 degli statuti summenzionati ».

Si vuol sapere quale fu la risposta a questa proposta di unione nella libertà e di oblìo degli odii passati? La Tagwacht di Zurigo (redatta da Hermann Greulich), pubblicò l’8 luglio le righe seguenti: « Bakounine era considerato da parecchi buoni e imparziali socialisti come un agente russo; questo sospetto, senza dubbio, eroneo, è fondato sul fatto che l’azione distruttiva di Bakounine, mentre ha molto profittato alla reazione, è stata cagione di solo male al movimento rivoluzionario ». Questa ingiuria della Tagwacht e i malevoli giudizi emessi dal Volksstaat di Lipsia e dal Vpered di Londra fecero comprendere agli amici di Bakounine che gli avversari di questi eran tutt’altro che disposti a cessare dal loro odio; a queste manifestazioni ostili, dovette fare seguito da parte dei commilitoni di Bakounine la dichiarazione seguente (10 settembre 1876): « Noi desideriamo, e la nostra condotta lo ha sempre provato, il ravvicinamento, nella misura del possibile, di tutti i gruppi socialisti; siamo pronti a tendere la mano della conciliazione a tutti quelli che vogliono lottare sinceramente per la emancipazione del lavoro; ma siamo anche fermamente decisi a non permettere che siano insultati i nostri morti ».

È venuto il momento in cui la posterità giudicherà la persona e gli atti di Michele Bakounine con l’imparzialità che si è in diritto di esigere da essa, e si può nutrire speranza che il voto espresso dagli amici di lui sulla sua tomba appena chiusa, si realizzerà un giorno?

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Note
(4) Era il nome del luogo di riunione dell’Internazionale ginevrina, antico tempio massonico.
(5) Il prezzo totale della traduzione era stato fissato per 900 rubli, e Bakounine aveva ricevuto in acconto 300 rubli. Egli pensò che la traduzione poteva essere condotta a termine da Joukovsky e non se ne occupò più, avendo anche avuto promessa da Netchaief che avrebbe egli accomodato ogni cosa. Ma invece di trattare per un accomodamento amichevole, Netchaief scrisse all’editore (Poliakof), all’insaputa di Bakounine, una lettera, nella quale dichiarava semplicemente che questi, essendo a disposizione del Comitato rivoluzionario, non poteva finire la traduzione, e che concludeva con una minaccia nel caso che l’editore reclamasse.
Quando Bakounine apprese il comportamento stupido di Netchaief ne fu molto indignato, e fu questa una delle ragioni che determinarono la sua rottura con lui.
(6) Un terzo volume, Anarkhia po Proudonon uscito a Londra (ove la stamperia fu trasferita nel 1874) non è di Bakounine.
(7) Netcha’ief era stato arrestato a Zurigo il 14 agosto 1872; fu consegnato dalla Svizzera alla Russia il 27 ottobre 1872.
(8) I blanquisti si erano separati da Marx fin dal 6 settembre, al Congresso dell’Aja, accusandolo di averli traditi.

James Guillaume, “Michele Bakounine”. Note Biografiche (Prima Parte)

Illustrazione di IllustreFeccia

 

Libro curato dallo Studio grafico Appiano, 1964, Collana Libertaria, Torino, p. 45
In questa Prima Parte: Nota del Gruppo Editore + capitoli I-IV (pagg. 3-21)

 

Nota del Gruppo Editore
Con la pubblicazione di questa « Vita di Bakunin » dovuta a James Guillaume, abbiamo voluto portare — noi pure — il nostro contributo alla celebrazione del centenario della fondazione della Associazione Internazionale dei Lavoratori, avvenuta a Londra, come è noto, il 28 settembre 1864. La vita di Michele Bakunin è infatti così strettamente legata alla storia della Prima Internazionale che in una narrazione, sia pure sommaria, di quella vita, non possono fare a meno di entrare — in primo piano — le vicende gloriose, e le lotte memorabili, dell’Associazione Internazionale.
James Guillaume fu al fianco di Bakunin in quelle lotte. Fu suo amico e convinto seguace. E lo difese strenuamente in tutte le polemiche che Bakunin si trovò a sostenere contro Carlo Marx per impedire che l’Associazione diventasse — dominata da Marx e dai suoi seguaci — strumento politico di egemonia autoritaria. Quando poi al Congresso dell’Afa (2-5 settembre 1872) Marx ed i suoi amici riuscirono ad avere il predominio ed a far votare dai congressisti l’espulsione di Bakunin dalle file dell’Internazionale, tale espulsione venne estesa anche a James Guillaume che, in quel Congresso, si era levato a difendere strenuamente il proprio amico e compagno ed i principi antiautoritari, antilegalitari ed antistatali da Bakunin propugnati.
In queste note l’attività di Bakunin in seno all’Internazionale è narrata con particolari precisi ed anche con molta obiettività. Ma di tutta la vita — così prodigiosa ed interessante – di quel gigante del pensiero e dell’azione che fu Michele Bakunin, è stato tracciato da James Guillaume un compendio storico particolarmente avvincente. I lettori se ne renderanno conto sicuramente. Si tratta di notizie preziose, notizie di prima mano, alle quali hanno poi attinto largamente i biografi di Bakunin. La « Nota biografica » venne compilata da ]ames Guillaume come premessa al volume II delle « Opere » di Bakunin pubblicato a Parigi nel 1907 (Editore Stock) e fu immediatamente tradotta in italiano dalla rivista « Il Pensiero », che usciva a Roma, redatto da Pietro Gori e da Luigi Fabbri. Noi ne abbiamo riprodotto fedelmente il testo, apparso nei numeri della rivista portanti le date del 1° e del 16 febbraio, del 1° e del 16 marzo 1908, ne ci risulta che sia stata finora raccolta in opuscolo, almeno in lingua italiana. Le note a pie’ di pagina sono dello stesso Autore.
James Guillaume era nato il 16 febbraio 1844 a Londra da Padre svizzero, di Neuchàtel, e da madre francese. Visse nella Svizzera Romanda dove conobbe Bakunin, divenendone amico e seguace. Fu l’animatore della Federazione del Giura e infaticabile propagandista dell’Internazionale. Morì a Parigi nel 1916. E uno dei più noti e illustri storici dell’anarchismo, da citarsi subito dopo Max Nettlau. E lo storico più documentato dell’Internazionale. I suoi quattro volumi « L’Internazionale. Documents et Souvenirs. 1864-1878 » (Paris 1906-1910) costituiscono una delle più complete fonti di informazioni.
Lo stesso Guillaume curò pure l’edizione completa delle « Opere » di Bakunin pubblicata a Parigi dall’editore Stock (1907-1903), in sei volumi, per i quali scrisse — come abbiamo già accennato — la nota biografia (premessa al volume II ) che oggi presentiamo ai nostri lettori, numerose prefazioni e interessanti note esplicative. Un suo saggio originale intitolato « Idées sur l’organisation sociale » è stato da noi pubblicato nel n. 9 di questa « Collana Libertaria » col titolo: DOPO LA RIVOLUZIONE.
IL GRUPPO EDITORE
Settembre 1964

I

Michele-Alexandrovitch Bakounine nacque l’8 maggio 1814 a Priamouchino, villaggio facente parte del distretto di Torjok, nel governo del Tver. Suo padre, che s’era dato agli impieghi diplomatici, dopo aver vissuto la giovinezza come segretario d’ambasciata a Firenze e Napoli, ritornò a stabilirsi nei suoi dominii patrimoniali ove sposò, all’età di quaranta anni, una giovane diciottenne della famiglia Mouravief. Di idee liberali, fu per molto tempo membro di una delle numerose associazioni di « decabristi »; ma dopo l’avvenimento al trono di Nicolò I, scoraggiato e divenuto scettico, non di altro prese ad aver cura che della coltivazione delle proprie terre e della educazione dei figli (1).
Michele era delle cinque sorelle e dei cinque fratelli che ebbe, il primogenito. All’età di quindici anni entrò nella scuola di artiglieria di Pietroburgo, dove passò tre anni, dopo i quali fu mandato come alfiere in un reggimento acquartierato nel governo di Minsk.
Era l’indomani del soffocamento sanguinoso dell’insurrezione polacca, e lo spettacolo della Polonia terrorizzata agì potentemente sull’animo del giovane ufficiale e contribuì non poco a inspirargli l’orrore del despotismo. Dopo due anni di servizio, dette le sue dimissioni (1834) e si rendè a Mosca ove passò quasi interamente i sei anni che seguirono. In questa città si dette con ardore allo studio della filosofia. Cominciò coll’appassionarsi alla lettura degli enciclopedisti francesi e, come i suoi amici Nicola Stankévitch e Bélinsky, si entusiasmò per Fichte, del quale tradusse (1836) i Vorlesungen über die Bestimmung des Gelehrten. Poi, fu la volta di Hegel, che teneva allora il dominio degli spiriti in Germania: il giovane Bakounine divenne un fervente seguace del sistema hegeliano e si lasciò per qualche tempo abbagliare dalla famosa massima: « Tutto ciò che è, è ragionevole che sia » con cui si giustificava l’esistenza di ogni oppressione politica. Nel 1839, Alessandro Herzen e Nicola Ogaref, dopo un esilio di parecchi anni, ritornarono a Mosca ove si incontrarono la prima volta con Bakounine; ma allora le loro idee eran troppo differenti perchè potessero andar d’accordo. Nel 1840, avendo ventisei anni, Michele Bakounine andò a Pietroburgo e di là a Berlino coll’intenzione di studiare il movimento filosofico tedesco; accoglieva in animo, si disse, l’idea di consacrarsi all’insegnamento desiderando di occupare, un giorno, una cattedra di filosofia o di storia a Mosca. Quando Nicola Stankévitch morì in Italia — e cioè in quello stesso anno — Bakounine ammetteva ancora la credenza nell’immortalità dell’anima come una dottrina necessaria (lettera a Herzen del 23 ottobre 1840). Ma il momento era venuto in cui doveva compiersi la sua evoluzione intellettuale, e la filosofia di Hegel trasformarsi in lui in una teoria rivoluzionaria. Già Feuerbach aveva dedotto dall’hegelianismo le conseguenze logiche nel campo religioso; Bakounine doveva operare ugualmente nel campo politico e sociale. Nel 1842, lascia Berlino per Dresda, ove si stringe d’amicizia con Arnoldo Ruge, che in quella città veniva pubblicando la rivista Deutsche Jahrbücher, nella quale Bakounine pubblicò nell’ottobre, sotto il pseudonimo di « Jules Elysard », uno studio che giungeva a conclusioni rivoluzionarie. Era intitolato: « La Reazione in Germania – frammento, di un francese », e terminava con queste frasi di cui l’ultima è divenuta celebre: « Confidiamo, dunque, nello spirito eterno che distrugge e annienta solo perchè è la sorgente impenetrabile ed eternamente creatrice di ogni vita. Il desiderio della distruzione è nello stesso tempo un desiderio creatore ».
Herzen, credendo in sulle prime che l’articolo fosse realmente opera di un francese, dopo averlo letto, scrisse nel suo giornale intimo: « É un appello potente, fermo, trionfante del partito democratico… L’articolo è di una grande importanza. Se i francesi cominciassero a render popolare la scienza tedesca — quelli che la comprendono, s’intende – la grande fase dell’azione sarebbe prossima a cominciare ». Il poeta Giorgio Herwegh, autore già illustre dei Gedichte eines Lebendigen, essendosi recato a Dresda, v’ebbe dimora presso Bakounine del quale divenne intimo amico. Fu pure a Dresda che Bakounine fece la conoscenza del musicista Adolfo Reichel, che divenne uno dei suoi più fedeli. Ma il governo sassone manifestò ben presto delle intenzioni ostili verso Ruge e i suoi collaboratori; e Bakounine ed Herwegh dovettero, nel gennaio del 1843, lasciare la Sassonia per recarsi insieme a Zurigo. In Svizzera Bakounine passò l’anno 1843; una lettera di lui scritta a Ruge dall’isola di S. Pietro (lago di Bienne) nel maggio dello stesso anno, e pubblicata a Parigi nel 1849 nella rivista Deutsch-französische Jahrbücher, termina con questa veemente apostrofe: « E qui la lotta comincia; e la nostra causa è sì potente che noi, pochi uomini sparsi e con le mani legate, col nostro solo grido di guerra ispiriamo lo spavento alle migliaia! Avanti con forte animo! Io voglio infrangere le vostre catene, o Germani che volete diventar Greci; io, lo Scita. Mandatemi le vostre opere; le farò stampare nell’isola di Rousseau, e in lettère di fuoco scriverò una volta ancora nel cielo della storia: Morte ai Persi! ». In Svizzera Bakounine fece la conoscenza dei comunisti tedeschi che facevan capo a Weitling. A Berna, ove passò l’inverno 1843-1844, entrò in relazione con la famiglia Wogt (2). Uno dei fratelli Wogt, Adolfo (più tardi professore alla facoltà di medicina nella Università di Berna), divenne suo amico intimo. Ma, disturbato continuamente dalla polizia svizzera e dietro la intimazione dell’ambasciata russa di ritornare in Russia, Bakounine lasciò Berna nel febbraio 1844, andò a Bruxelles e di là a Parigi, ove doveva restare fino al dicembre 1847.

II

A Parigi, dove giunse col suo fedele Reichel, egli ritrovò Herwegh e la sua giovane moglie (Emma Siegmund). Fu allora che conobbe Carlo Marx, il quale, recatosi a Parigi alla fine del 1843, fu dapprima, anche lui, uno dei collaboratori di Arnoldo Ruge, poi cominciò con Engel l’elaborazione di una dottrina speciale. Bakounine strinse amicizia anche con Proudhon, che vedeva spessissimo; essendo d’accordo su certi punti essenziali e discordando su altri, loro accadeva spesso di intavolare delle discussioni che duravano delle notti intere. Conobbe anche Giorgio Sand, di cui ammirava l’ingegno e che era in quel tempo sotto l’influenza di Pietro Leroux.
Questi anni passati a Parigi furono per lo sviluppo intellettuale di Michele Bakounine, i più fecondi. Si delinearono allora nel suo spirito le idee che constituirono poi il suo programma rivoluzionario, idee tuttavia su parecchi punti imprecise e impacciate da un resto di idealismo metafisico, di cui doveva sbarazzarsi più tardi. Egli stesso ci parla dei rapporti avuti da lui in quel tempo con Marx e Proudhon: « Marx — scrisse nel 1871 (manoscritto francese) — era molto più avanzato di me, come oggi è non già più avanzato, ma di me di gran lunga più sapiente. Io allora non sapevo nulla di economia politica, nè mi ero ancora del tutto liberato dalle astrazioni metafisiche; il mio socialismo era, più che altro, istintivo. Lui invece, benché più giovane di me, era già un ateo, un dotto materialista e un socialista convinto. Fu precisamente in quel tempo che elaborò i primi fondamenti del nuovo sistema. Ci vedevamo assai spesso perchè io nutrivo per lui un grande rispetto, per la sua scienza e per la sua devozione appassionata e seria (quantunque sempre mista a vanità personale) alla causa del proletariato, e ne ricercavo con avidità la conversazione, sempre istruttiva ed elevata quando non si inspirava ad odio meschino, ciò che, purtroppo, accadeva spessissimo. I nostri temperamenti non si confacevano: egli mi chiamava un idealista sentimentale ed aveva ragione; io lo chiamavo un vanitoso perfido e dissimulatore ed avevo ragione ».
Quanto ad Engels, Bakounine ne ha così tratteggiato, il carattere in un passo ove parla della società segreta fondata da Marx (Gosoudarstvennost i Anarkhia; 1874 pag. 224):
« Verso il 1845, Marx si pose alla testa dei comunisti tedeschi e, poco dopo, con Engels, il suo amico costante, quanto lui intelligente, benché meno erudito, ma in compenso più pratico e non meno di lui dotato per la calunnia politica, la menzogna e l’intrigo, fondò una società segreta di comunisti tedeschi o socialisti autoritari ».
Di Proudhon ecco che cosa dice in un manoscritto francese del 1870: « Proudhon, malgrado tutti gli sforzi che fece per scuotere le tradizioni dell’idealismo classico, non restò meno per tutta la vita un idealista incorreggibile, inspirantesi, come io stesso ebbi a dirgli due mesi prima della sua morte (3), ora alla Bibbia ed ora al diritto romano, e un metafisico fino alla punta dei capelli. Fu sua di grazia non aver mai studiato scienze naturali e non averne fatto proprio il metodo. Ebbe così degli impulsi geniali che gli fecero intuire la via giusta da percorrere, ma trascinato dalle cattive abitudini idealistiche del suo spirito, ricadeva sempre nei vecchi errori. É per questo che Proudhon è stato sempre in contraddizione con se stesso — un genio vigoroso, un pensatore rivoluzionario, dibattentesi continuamente contro i fantasmi dell’idealismo senza mai giungere a vincerlo.
« Marx come pensatore, invece è sulla via buona. Egli ha stabilito come principio che tutte le evoluzioni politiche, religiose e giuridiche nella storia sono, non le cause, ma gli effetti delle evoluzioni economiche. Grande e feconda idea, che se egli non fu il primo ad enunciare (essa era già stata intuita e in parte espressa da parecchi altri), ebbe il merito di averla solidamente stabilita e posta come base di tutto un sistema economico. D’altra parte, Proudhon aveva compreso e sentito la libertà molto meglio di lui. Proudhon, quando non faceva della dottrina e della metafisica, possedeva il vero istinto del rivoluzionario; adorava la figura di Satana e proclamava la necessità dell’anarchia. É possibilissimo, invece, che Marx possa teoricamente elevarsi alla concezione di un sistema della libertà ancor più razionale di quello di Pourdhon, ma l’istinto della libertà gli manca: egli è un autoritario dalla testa ai piedi ».
Nel 1847 Bakounine vide arrivare a Parigi Herzen e Ogaref, che avevano lasciato la Russia per vivere in Occidente; rivide anche Bélinsky, allora in tutta la pienezza della sua potenza intellettuale e che doveva morire l’anno seguente. Per un discorso da lui pronunciato il 29 novembre 1847 al banchetto dato in commemorazione della insurrezione polacca, Bakounine fu, dietro domanda dell’Ambasciata russa, espulso dalla Francia. Per togliere le simpatie che si erano intorno a lui manifestate, il rappresentante della Russia a Parigi, Kisselef, fece correr voce che egli, Bakounine, era stato al servizio dell’ambasciata, la quale lo aveva adoperato, ma che ora vedevasi obbligata a sbarazzarsi di lui perchè erasi spinto innanzi più che convenisse. (Lettera di Bakounine a Fanelli del 29 maggio 1867). Il conte di Duchàtel, ministro dell’interno, interpellato alla Camera dei pari in proposito, si trincerò dietro calcolate reticenze per dar credito alla calunnia immaginata da Kisseleff, che doveva ben presto ripercuotersi altrove. Bakounine andò a Bruxelles dove abitava Marx, espulso anche lui di Francia fino dal 1945. Da Bruxelles ebbe a scrivere al suo amico Herwegh le parole seguenti:
« I tedeschi — Bornstedt, Marx, Engels e degli operai — e sopra tutti Marx, fanno qui il loro solito male. Vanità, cattiveria, pettegolezzi, rodomontate in teoria e pusillanimità in pratica; dissertazioni sulla vita, l’azione e -la semplicità, e assenza completa di vita, di azione, di semplicità; ripugnanti lusinghe verso gli operai più intellettuali o loquaci. Secondo questa gente ” Feuerback è un borghese “; e l’epiteto di borghese viene ripetuto a sazietà da persone che altro non sono, dal capo alle piante, che borghesi di provincia. In una parola, menzogna e sciocchezza, sciocchezza e menzogna. In una società come questa non c’è modo di respirare liberamente; mi tengo, per ciò, lontano da loro ed ho francamente dichiarato che non parteciperò alla Kommunistischer Handwerkerverein e che non voglio per nulla impacciarmi con questa società ».

III

La rivoluzione del 24 febbraio aprì a Bakounine le porte di Francia. Si affrettò a far ritorno a Parigi; ma, poco dopo, la notizia degli avvenimenti di Vienna e di Berlino lo decise a partire per la Germania (aprile), donde sperava potersi portare in Polonia, per prender parte ai movimenti insurrezionali. Passò per Colonia, ove Marx e Engels stavano per cominciare la pubblicazione della Neue Rheinische Zeitung.
Era il momento in cui la Legione democratica tedesca di Parigi, che aveva a capo Herwegh, fece nel granducato di Baden quel tentativo insurrezionale che ebbe un esito tanto disgraziato. Marx attaccò, allora, Herwegh con molta violenza; Bakounine prese le difese del suo amico e la ruppe con Marx. Più tardi Bakounine a questo proposito ebbe ad esprimersi nel modo seguente (1871, manoscritto francese): « In quella occasione, lo penso oggi e lo dico francamente, erano Marx ed Engels che avevano ragione; essi meglio di me giudicavano le condizioni generali. Attaccarono Herwegh con la mancanza di riguardo loro propria ed io presi, a Colonia, calorosamente la difesa dell’assente. Da ciò la nostra discordia ». Si recò poi a Berlino e a Breslavia, e di là a Praga, ove tentò inutilmente di far propaganda democratica e rivoluzionaria al Congresso slavo (giugno) ed ove prese parte al movimento insurrezionale duramente represso da Windischgràtz. Quindi ritornò a Breslavia. Durante il suo soggiorno in questa città la Neue Rheinische Zeitung pubblicò (6 luglio) una corrispondenza da Parigi così concepita: « A proposito della propaganda slava, ci si è ieri affermato che Giorgio Sand si trova in possesso di carte che compromettono molto il russo Michele Bakounine espulso dalla Francia, e lo rappresentano come uno strumento o un agente della Russia di recente arruolato, al quale si attribuisce la parte principale negli arresti di fresco avvenuti dei disgraziati polacchi. Giorgio Sand ha mostrato queste carte ad alcuni suoi amici ».
Bakounine protestò immediatamente contro questa infame calunnia con una lettera da Breslavia pubblicata nel giornale Allgemeine Oder-Zeitung (lettera che la Neue Rhetnische Zeitung riprodusse il 16 luglio), e scrisse a Giorgio Sand per pregarla di spiegarsi circa l’uso che si era fatto del di lei nome. Giorgio Sand rispose con una lettera al redattore della Neue Rheinische Zeitung, datata da La Chatre (Indre) il 20 luglio 1848, nella quale diceva: « I fatti riferiti dal vostro corrispondente sono completamente falsi. Non ho mai posseduto la minima prova delle insinuazioni a cui cercate di dar credito contro il signor Bakounine. Non sono mai stata, dunque, autorizzata a emettere il più piccolo dubbio sulla lealtà del suo carattere e sulla sincerità delle sue opinioni. Mi appello al vostro onore e alla vostra coscienza per la inserzione immediata di questa lettera, nel vostro giornale ». Marx inserì la lettera, e dette nel tempo stesso la spiegazione seguente della pubblicità accordata alla calunnia del suo corrispondente di Parigi: « Abbiamo così adempiuto il dovere della stampa di esercitare sugli uomini pubblici una stretta sorveglianza e abbiamo dato, nello stesso tempo, al signor Bakounine l’occasione di dissipare un sospetto che era davvero emesso in alcuni ritrovi di Parigi ». E’ inutile insistere su questa singolare teoria per la quale la stampa avrebbe il dovere di accogliere e pubblicare la calunnia, senza prendersi cura di controllare prima i fatti.
Il mese seguente, Bakounine vide Marx a Berlino ed ebbe luogo una apparente riconciliazione fra loro. Bakounine scrisse su ciò nel 1871 (manoscritto francese) quanto segue: « Degli amici comuni ci costrinsero ad abbracciarci. E allora in una conversazione mezzo scherzosa e mezzo seria, Marx mi disse: « Sai che ora mi trovo alla testa di una società comunista segreta, così ben disciplinata che se dicessi ad un solo dei suoi membri: Va ad uccidere Bakounine, questi ti ucciderebbe?… ». Dopo questa conversazione non ci rivedemmo più fino al 1864 ».
Ciò che Marx aveva detto, scherzando, a Bakounine nel 1848, doveva tentare di farlo davvero ventiquattro anni dopo. Quando, nell’Internazionale, l’opposizione dell’anarchico rivoluzionario sarà diventata un ostacolo per la dominazione personale che Marx pretendeva esercitare, egli tenterà di sbarazzarsi di lui con un vero assassinio morale. Espulso dalla Prussia e dalla Sassonia, Bakounine passò il resto del 1848 nel principato di Ankalt, dove pubblicò in tedesco il suo opuscolo: « Aufruf an die Slaven, von einen russischen Patrioten, Michael Bakunin, Mitglied des Slavencongresses ». In esso sviluppava questo programma: unione dei rivoluzionari slavi con i rivoluzionari delle altre nazioni — ungheresi, tedeschi, italiani — per la distruzione delle tre monarchie oppressive, impero di Russia, impero d’Austria, regno di Prussia; libera federazione dei popoli slavi emancipati. Marx credette di dover combattere queste idee e lo fece sulla Neue Rheinische Zeitung (14 febbraio 1849). « Bakounine è nostro amico — scriveva — ma ciò non ci tratterrà dal criticare il suo opuscolo ». E così formulava la sua opinione: « A parte i Polacchi, i Russi e forse anche gli Slavi della Turchia – nessun popolo slavo ha un avvenire, per la semplice ragione che a tutti gli altri slavi mancano le prime condizioni storiche e geografiche, politiche e industriali della indipendenza e della vitalità ».
A proposito di questa differenza fra il suo modo di pensare e quello di Marx, Bakounine ha scritto (1871, manoscritto francese): « Nel 1848, ci siamo trovati divisi d’opinione, e debbo dire che la ragione fu molto più dalla sua parte che dalla mia… Trascinato dall’ebrezza del movimento rivoluzionario, io era molto più occupato del lato negativo che del lato positivo di questa rivoluzione… Pertanto vi fu un punto in cui ebbi ragione. Come slavo, io volevo l’emancipazione della razza slava dal giogo dei tedeschi…. e, come patriotta tedesco, Marx allora non ammetteva, come non ammette adesso, il diritto degli slavi di emanciparsi dal giogo dei tedeschi, pensando che questi abbian la missione di civilizzarli, e cioè di germanizzarli per amore o per forza ».
In gennaio 1849, Bakounine si portò segretamente a Lipsia, per fare i preparativi, d’intesa con un gruppo di giovani czechi di Praga, per una insurrezione in Boemia. Malgrado i progressi della reazione in Francia e in Germania, v’era ancora ragion di speranza, poiché in più punti d’Europa la rivoluzione non era ancora stata soffocata: a Pio IX, cacciato da Roma, s’era sostituita la repubblica romana con a capo il triumvirato Mazzini, Saffi e Armellini e, per generale, Garibaldi; Venezia, resasi libera, sosteneva contro gli austriaci un assedio eroico; gli Ungheresi insorti contro l’Austria e diretti da Kossuth, proclamavano il decadimento della casa d’Asburgo. In questo frattempo scoppiò a Dresda (3 maggio 1849) un sollevamento popolare, provocato dal rifiuto del re di Sassonia d’accettare la Costituzione dell’Impero tedesco, che aveva proclamato il Parlamento di Francoforte; il re dovette fuggire, fu instituito un governo provvisorio (Heubner, Tzschirner e Todt) e gli insorti restarono padroni della città per cinque giorni. Bakounine che aveva lasciato Lipsia per Dresda nell’aprile, divenne uno dei capi degli insorti e contribuì a far prendere i più energici provvedimenti per la difesa delle barricate contro le truppe prussiane (il comandante militare fu dapprima il luogotenente-colonnello Heinze, poi, dall’8 maggio, il giovane tipografo Stefano Born, che aveva organizzato, l’anno precedente, la prima associazione generale degli operai tedeschi, Varbeiter-Verbrüderung). La statura gigantesca di Bakounine e la sua qualità di rivoluzionario russo attirarono particolarmente l’attenzione su lui, e intorno alla sua persona si formò una leggenda: a lui solo furono attribuiti gli incendi suscitati per la difesa; egli era – si scrisse — « la vera anima della rivoluzione », « esercitava un terrorismo, che incuteva spavento », « aveva consigliato, per impedire ai Prussiani di far fuoco sulle barricate, di porvi i capolavori della galleria di quadri… ».
Il 9, gli insorti, indietreggiando davanti a forze superiori, effettuarono la loro ritirata su Freiberg. Qui, Bakounine tentò di ottenere da Born che, con i combattenti che gli restavano, passasse sul territorio boemo per tentarvi una nuova insurrezione; ma questi si rifiutò e licenziò le sue truppe. Allora, vedendo che non c’era più nulla da fare, Heubner, Bakounine e il musicista Riccardo Wagner si diressero alla volta di Cheminitz. Nella notte dal 9 al 10, dei borghesi armati arrestarono Heubner e Baokunine e li dettero in mano ai Prussiani; Wagner, che si era rifugiato presso sua sorella, riuscì a porsi in salvo.
La condotta di Bakounine a Dresda fu quella di un combattente risoluto e d’un capo chiaroveggente. In una delle sue lettere alla New York Daily Tribune (numero del 2 ottobre 1852), On Revolution and Contre-Revolution in Germany, Marx, malgrado la sua ostilità, dovette riconoscere il servizio reso da Bakounine alla causa rivoluzionaria. « A Dresda — ebbe a scrivere — la lotta durò nelle vie della città quattro giorni. I bottegai di Dresda e la « guardia comunale » non solo non combatterono, ma spesso favorirono l’azione delle truppe contro gli insorti. Questi che si componevano quasi esclusivamente di operai dei distretti manifatturieri, trovarono un capo abile ed energico nell’esule russo Michele Bakounine ».

IV

Trasportato nella fortezza di Kònigstein (Sassonia), Bakounine dopo parecchi mesi di detenzione preventiva fu, il 14 gennaio 1850, condannato a morte; in giugno la pena fu commutata in quella del carcere a vita e, nello stesso tempo, il prigioniero fu consegnato all’Austria che lo reclamava. In Austria fu dapprima detenuto a Praga e poi (marzo 1851) nella cittadella di Olmiitz, ove il 15 maggio 1851 fu condannato ad essere impiccato; ma la pena fu di nuovo commutata in carcere perpetuo. Nelle prigioni austriache Bakounine fu trattato in modo durissimo: aveva i ferri ai piedi ed alle mani e, a Olmùtz era incatenato alla muraglia per la cintura.
L’Austria, poco dopo la condanna, lo consegnò al governo russo. In Russia fu chiuso nella fortezza di Pietro e Paolo, nel « rivellino d’Alessio ». Al principio della sua prigionia, il conte Orlof gli venne a dire che lo czar Nicola domandava da lui una confessione scritta. Baokunine, riflettendo (lettera a Herzen dell’8 dicembre 1860) « che si trovava in potere di un orso »; e che, d’altra parte, « tutti i suoi atti essendo perfettamente noti, egli non aveva alcun segreto da rivelare », si decise a scrivere.
Nella sua lettera diceva allo czar: « Voi desiderate aver la mia confessione; ma non dovete ignorare che il penitente non è obbligato a confessare i peccati altrui. Non ho di salvo che l’onore e la coscienza di non aver mai tradito chi ha posto in me fiducia; perciò non vi farò dei nomi ». Herzen racconta (Oeuvres posthumes) che quando Nicola ebbe letto la lettera di Bakounine esclamò: « É un bravo giovane e pieno di spirito, ma pericoloso, e bisogna tenerlo ben chiuso ». Al principio della guerra di Crimea, siccome la fortezza di Pietro e Paolo poteva trovarsi esposta ad essere bombardata e presa dagli inglesi, si trasferì il prigioniero a Schlüsselbour (1854); là fu assalito dallo scorbuto e gli caddero tutti i denti.
Ecco che cosa l’autore di queste note scriveva, su questo ultimo periodo della prigionia di Baokunine, all’indomani della morte di lui: « L’atroce regime del carcere aveva rovinato completamente il suo stomaco. Egli ci diceva che verso la fine della sua prigionia lo aveva preso talmente il disgusto di tutti i cibi, che non d’altro poteva nutrirsi se non di cavoli sminuzzati. Ma se il corpo si infiacchiva, lo spirito restava eretto e forte. Temeva egli, sopratutto, di trovarsi un giorno ridotto, per l’azione debilitante del carcere, allo stato di prostrazione spirituale di cui abbiamo un esempio sì noto in Silvio Pellico; temeva di cessare di odiare, di sentire spegnarsi nel suo cuore il sentimento di ribellione che lo animava e di giungere a perdonare ai suoi carnefici e rassegnarsi alla sorte. Ma questo timore era vano: la sua grande energia non lo abbandonò un sol giorno e uscì dal carcere tale quale vi era entrato. Egli ci raccontava che, per distrarsi nei lunghi tedii della solitudine, egli soleva richiamar nella memoria la leggenda di Prometeo, il titano benefattore degli uomini incatenato ad una rupe del Caucaso per comando dello czar dell’Olimpo; pensava anche di drammatizzarla e noi ricordiamo ancora la melodia dolce e lamentosa, da lui composta, del coro delle ninfe dell’oceano, consolatrici della vittima di Giove » (Bullettin de la Fédération jurassienne de l’Internationale, supplemento al numero del 9 luglio 1876).
Alla morte di Nicola, si sperò che il cambiamento di regno fosse per portare qualche alleggerimento alle tristi condizioni dell’indomabile rivoluzionario: ma Alessandro II cancellò di sua propria mano il nome di Bakounine dalla lista degli amnistiati. La madre del prigioniero essendosi, un mese dopo, presentata al nuovo czar per impetrar grazia pel figlio, ebbe dall’autocrate questa risposta:
« Sappiate, signora, che vostro figlio non potrà esser mai libero ».
La prigionia di Baokunine si prolungò, dopo la morte di Nicola, due anni ancora; lo czar Alessandro restava sordo a tutte le preghiere che gli eran rivolte. Un giorno lo czar, tenendo in mano la lettera che Baokunine aveva scritto nel 1851 a Nicola, si rivolse al principe Gortchakof, ministro degli affari esteri, dicendogli: « Ma io non vedo il minimo pentimento in questa lettera! ».
Finalmente, nel marzo 1857, Alessandro si lasciò piegare e consentì a commutare la prigione a vita nell’esilio in Siberia. Bakounine fu internato a Tomsk. Verso la fine del 1858 vi si maritò con una giovane polacca, Antonia Kwiatkowska, e, subito dopo, grazie all’azione spiegata dal suo parente dal lato materno Mouravief-Amoursky, governatore della Siberia Orientale, potè ottenere di andare a risiedere a Irkoutsk (marzo 1859), dove entrò al servizio della compagnia dell’Amour e, poi, d’una impresa di miniere. Sperava di presto riacquistare la libertà e ritornare in Russia; ma essendo stato Mouravief obbligato ad abbandonare il suo posto per la opposizione che gli faceva la burocrazia, Bakounine comprese che solo un mezzo restavagli per diventar libero: l’evasione. Lasciato Irkoutsk (17 giugno 1861) col pretesto d’un viaggio di affari e di studi autorizzato dal governo, come rappresentante di un negoziante di nome Sabachnikof, raggiunse Nikolaievsk (luglio); là s’imbarcò sopra un vascello dello Stato (lo Strelok), che andava a De-Kastri, porto situato più al sud; poi, riuscì a passare, senza risvegliar sospetti, sulla nave mercantile Vikera, che lo condusse al Giappone, a Hokodadi, donde guadagnò Yokohama, poi S. Francisco e New-York (novembre). Il 27 dicembre 1861 arrivò a Londra, dove fu accolto come un fratello da Herzen e Ogaref.

Continua nella Seconda Parte

Note
(1) Per la redazione di queste note, all’infuori di ciò che era di mia cognizione, mi sono servito dell’ampio materiale raccolto da Max Nettlau e pubblicato da lui nella sua opera monumentale: Michael Bakunin, eine Biographie; Londra 1896-1900, 3 voi. in fol.
(2) Il professore Guglielmo Wogt aveva dovuto lasciare nel 1835, destituito per motivi politici, l’Università di Giessen, ed era divenuto professore all’Università di Berna. Aveva quattro figli: Carlo, il celebre naturalista; Emilio, giurista; Adolfo, medico; Gustavo, avvocato.
(3) Proudhon morì il 19 gennaio 1865.