James Guillaume, “Michele Bakounine”. Note Biografiche (Prima Parte)

Illustrazione di IllustreFeccia

 

Libro curato dallo Studio grafico Appiano, 1964, Collana Libertaria, Torino, p. 45
In questa Prima Parte: Nota del Gruppo Editore + capitoli I-IV (pagg. 3-21)

 

Nota del Gruppo Editore
Con la pubblicazione di questa « Vita di Bakunin » dovuta a James Guillaume, abbiamo voluto portare — noi pure — il nostro contributo alla celebrazione del centenario della fondazione della Associazione Internazionale dei Lavoratori, avvenuta a Londra, come è noto, il 28 settembre 1864. La vita di Michele Bakunin è infatti così strettamente legata alla storia della Prima Internazionale che in una narrazione, sia pure sommaria, di quella vita, non possono fare a meno di entrare — in primo piano — le vicende gloriose, e le lotte memorabili, dell’Associazione Internazionale.
James Guillaume fu al fianco di Bakunin in quelle lotte. Fu suo amico e convinto seguace. E lo difese strenuamente in tutte le polemiche che Bakunin si trovò a sostenere contro Carlo Marx per impedire che l’Associazione diventasse — dominata da Marx e dai suoi seguaci — strumento politico di egemonia autoritaria. Quando poi al Congresso dell’Afa (2-5 settembre 1872) Marx ed i suoi amici riuscirono ad avere il predominio ed a far votare dai congressisti l’espulsione di Bakunin dalle file dell’Internazionale, tale espulsione venne estesa anche a James Guillaume che, in quel Congresso, si era levato a difendere strenuamente il proprio amico e compagno ed i principi antiautoritari, antilegalitari ed antistatali da Bakunin propugnati.
In queste note l’attività di Bakunin in seno all’Internazionale è narrata con particolari precisi ed anche con molta obiettività. Ma di tutta la vita — così prodigiosa ed interessante – di quel gigante del pensiero e dell’azione che fu Michele Bakunin, è stato tracciato da James Guillaume un compendio storico particolarmente avvincente. I lettori se ne renderanno conto sicuramente. Si tratta di notizie preziose, notizie di prima mano, alle quali hanno poi attinto largamente i biografi di Bakunin. La « Nota biografica » venne compilata da ]ames Guillaume come premessa al volume II delle « Opere » di Bakunin pubblicato a Parigi nel 1907 (Editore Stock) e fu immediatamente tradotta in italiano dalla rivista « Il Pensiero », che usciva a Roma, redatto da Pietro Gori e da Luigi Fabbri. Noi ne abbiamo riprodotto fedelmente il testo, apparso nei numeri della rivista portanti le date del 1° e del 16 febbraio, del 1° e del 16 marzo 1908, ne ci risulta che sia stata finora raccolta in opuscolo, almeno in lingua italiana. Le note a pie’ di pagina sono dello stesso Autore.
James Guillaume era nato il 16 febbraio 1844 a Londra da Padre svizzero, di Neuchàtel, e da madre francese. Visse nella Svizzera Romanda dove conobbe Bakunin, divenendone amico e seguace. Fu l’animatore della Federazione del Giura e infaticabile propagandista dell’Internazionale. Morì a Parigi nel 1916. E uno dei più noti e illustri storici dell’anarchismo, da citarsi subito dopo Max Nettlau. E lo storico più documentato dell’Internazionale. I suoi quattro volumi « L’Internazionale. Documents et Souvenirs. 1864-1878 » (Paris 1906-1910) costituiscono una delle più complete fonti di informazioni.
Lo stesso Guillaume curò pure l’edizione completa delle « Opere » di Bakunin pubblicata a Parigi dall’editore Stock (1907-1903), in sei volumi, per i quali scrisse — come abbiamo già accennato — la nota biografia (premessa al volume II ) che oggi presentiamo ai nostri lettori, numerose prefazioni e interessanti note esplicative. Un suo saggio originale intitolato « Idées sur l’organisation sociale » è stato da noi pubblicato nel n. 9 di questa « Collana Libertaria » col titolo: DOPO LA RIVOLUZIONE.
IL GRUPPO EDITORE
Settembre 1964

I

Michele-Alexandrovitch Bakounine nacque l’8 maggio 1814 a Priamouchino, villaggio facente parte del distretto di Torjok, nel governo del Tver. Suo padre, che s’era dato agli impieghi diplomatici, dopo aver vissuto la giovinezza come segretario d’ambasciata a Firenze e Napoli, ritornò a stabilirsi nei suoi dominii patrimoniali ove sposò, all’età di quaranta anni, una giovane diciottenne della famiglia Mouravief. Di idee liberali, fu per molto tempo membro di una delle numerose associazioni di « decabristi »; ma dopo l’avvenimento al trono di Nicolò I, scoraggiato e divenuto scettico, non di altro prese ad aver cura che della coltivazione delle proprie terre e della educazione dei figli (1).
Michele era delle cinque sorelle e dei cinque fratelli che ebbe, il primogenito. All’età di quindici anni entrò nella scuola di artiglieria di Pietroburgo, dove passò tre anni, dopo i quali fu mandato come alfiere in un reggimento acquartierato nel governo di Minsk.
Era l’indomani del soffocamento sanguinoso dell’insurrezione polacca, e lo spettacolo della Polonia terrorizzata agì potentemente sull’animo del giovane ufficiale e contribuì non poco a inspirargli l’orrore del despotismo. Dopo due anni di servizio, dette le sue dimissioni (1834) e si rendè a Mosca ove passò quasi interamente i sei anni che seguirono. In questa città si dette con ardore allo studio della filosofia. Cominciò coll’appassionarsi alla lettura degli enciclopedisti francesi e, come i suoi amici Nicola Stankévitch e Bélinsky, si entusiasmò per Fichte, del quale tradusse (1836) i Vorlesungen über die Bestimmung des Gelehrten. Poi, fu la volta di Hegel, che teneva allora il dominio degli spiriti in Germania: il giovane Bakounine divenne un fervente seguace del sistema hegeliano e si lasciò per qualche tempo abbagliare dalla famosa massima: « Tutto ciò che è, è ragionevole che sia » con cui si giustificava l’esistenza di ogni oppressione politica. Nel 1839, Alessandro Herzen e Nicola Ogaref, dopo un esilio di parecchi anni, ritornarono a Mosca ove si incontrarono la prima volta con Bakounine; ma allora le loro idee eran troppo differenti perchè potessero andar d’accordo. Nel 1840, avendo ventisei anni, Michele Bakounine andò a Pietroburgo e di là a Berlino coll’intenzione di studiare il movimento filosofico tedesco; accoglieva in animo, si disse, l’idea di consacrarsi all’insegnamento desiderando di occupare, un giorno, una cattedra di filosofia o di storia a Mosca. Quando Nicola Stankévitch morì in Italia — e cioè in quello stesso anno — Bakounine ammetteva ancora la credenza nell’immortalità dell’anima come una dottrina necessaria (lettera a Herzen del 23 ottobre 1840). Ma il momento era venuto in cui doveva compiersi la sua evoluzione intellettuale, e la filosofia di Hegel trasformarsi in lui in una teoria rivoluzionaria. Già Feuerbach aveva dedotto dall’hegelianismo le conseguenze logiche nel campo religioso; Bakounine doveva operare ugualmente nel campo politico e sociale. Nel 1842, lascia Berlino per Dresda, ove si stringe d’amicizia con Arnoldo Ruge, che in quella città veniva pubblicando la rivista Deutsche Jahrbücher, nella quale Bakounine pubblicò nell’ottobre, sotto il pseudonimo di « Jules Elysard », uno studio che giungeva a conclusioni rivoluzionarie. Era intitolato: « La Reazione in Germania – frammento, di un francese », e terminava con queste frasi di cui l’ultima è divenuta celebre: « Confidiamo, dunque, nello spirito eterno che distrugge e annienta solo perchè è la sorgente impenetrabile ed eternamente creatrice di ogni vita. Il desiderio della distruzione è nello stesso tempo un desiderio creatore ».
Herzen, credendo in sulle prime che l’articolo fosse realmente opera di un francese, dopo averlo letto, scrisse nel suo giornale intimo: « É un appello potente, fermo, trionfante del partito democratico… L’articolo è di una grande importanza. Se i francesi cominciassero a render popolare la scienza tedesca — quelli che la comprendono, s’intende – la grande fase dell’azione sarebbe prossima a cominciare ». Il poeta Giorgio Herwegh, autore già illustre dei Gedichte eines Lebendigen, essendosi recato a Dresda, v’ebbe dimora presso Bakounine del quale divenne intimo amico. Fu pure a Dresda che Bakounine fece la conoscenza del musicista Adolfo Reichel, che divenne uno dei suoi più fedeli. Ma il governo sassone manifestò ben presto delle intenzioni ostili verso Ruge e i suoi collaboratori; e Bakounine ed Herwegh dovettero, nel gennaio del 1843, lasciare la Sassonia per recarsi insieme a Zurigo. In Svizzera Bakounine passò l’anno 1843; una lettera di lui scritta a Ruge dall’isola di S. Pietro (lago di Bienne) nel maggio dello stesso anno, e pubblicata a Parigi nel 1849 nella rivista Deutsch-französische Jahrbücher, termina con questa veemente apostrofe: « E qui la lotta comincia; e la nostra causa è sì potente che noi, pochi uomini sparsi e con le mani legate, col nostro solo grido di guerra ispiriamo lo spavento alle migliaia! Avanti con forte animo! Io voglio infrangere le vostre catene, o Germani che volete diventar Greci; io, lo Scita. Mandatemi le vostre opere; le farò stampare nell’isola di Rousseau, e in lettère di fuoco scriverò una volta ancora nel cielo della storia: Morte ai Persi! ». In Svizzera Bakounine fece la conoscenza dei comunisti tedeschi che facevan capo a Weitling. A Berna, ove passò l’inverno 1843-1844, entrò in relazione con la famiglia Wogt (2). Uno dei fratelli Wogt, Adolfo (più tardi professore alla facoltà di medicina nella Università di Berna), divenne suo amico intimo. Ma, disturbato continuamente dalla polizia svizzera e dietro la intimazione dell’ambasciata russa di ritornare in Russia, Bakounine lasciò Berna nel febbraio 1844, andò a Bruxelles e di là a Parigi, ove doveva restare fino al dicembre 1847.

II

A Parigi, dove giunse col suo fedele Reichel, egli ritrovò Herwegh e la sua giovane moglie (Emma Siegmund). Fu allora che conobbe Carlo Marx, il quale, recatosi a Parigi alla fine del 1843, fu dapprima, anche lui, uno dei collaboratori di Arnoldo Ruge, poi cominciò con Engel l’elaborazione di una dottrina speciale. Bakounine strinse amicizia anche con Proudhon, che vedeva spessissimo; essendo d’accordo su certi punti essenziali e discordando su altri, loro accadeva spesso di intavolare delle discussioni che duravano delle notti intere. Conobbe anche Giorgio Sand, di cui ammirava l’ingegno e che era in quel tempo sotto l’influenza di Pietro Leroux.
Questi anni passati a Parigi furono per lo sviluppo intellettuale di Michele Bakounine, i più fecondi. Si delinearono allora nel suo spirito le idee che constituirono poi il suo programma rivoluzionario, idee tuttavia su parecchi punti imprecise e impacciate da un resto di idealismo metafisico, di cui doveva sbarazzarsi più tardi. Egli stesso ci parla dei rapporti avuti da lui in quel tempo con Marx e Proudhon: « Marx — scrisse nel 1871 (manoscritto francese) — era molto più avanzato di me, come oggi è non già più avanzato, ma di me di gran lunga più sapiente. Io allora non sapevo nulla di economia politica, nè mi ero ancora del tutto liberato dalle astrazioni metafisiche; il mio socialismo era, più che altro, istintivo. Lui invece, benché più giovane di me, era già un ateo, un dotto materialista e un socialista convinto. Fu precisamente in quel tempo che elaborò i primi fondamenti del nuovo sistema. Ci vedevamo assai spesso perchè io nutrivo per lui un grande rispetto, per la sua scienza e per la sua devozione appassionata e seria (quantunque sempre mista a vanità personale) alla causa del proletariato, e ne ricercavo con avidità la conversazione, sempre istruttiva ed elevata quando non si inspirava ad odio meschino, ciò che, purtroppo, accadeva spessissimo. I nostri temperamenti non si confacevano: egli mi chiamava un idealista sentimentale ed aveva ragione; io lo chiamavo un vanitoso perfido e dissimulatore ed avevo ragione ».
Quanto ad Engels, Bakounine ne ha così tratteggiato, il carattere in un passo ove parla della società segreta fondata da Marx (Gosoudarstvennost i Anarkhia; 1874 pag. 224):
« Verso il 1845, Marx si pose alla testa dei comunisti tedeschi e, poco dopo, con Engels, il suo amico costante, quanto lui intelligente, benché meno erudito, ma in compenso più pratico e non meno di lui dotato per la calunnia politica, la menzogna e l’intrigo, fondò una società segreta di comunisti tedeschi o socialisti autoritari ».
Di Proudhon ecco che cosa dice in un manoscritto francese del 1870: « Proudhon, malgrado tutti gli sforzi che fece per scuotere le tradizioni dell’idealismo classico, non restò meno per tutta la vita un idealista incorreggibile, inspirantesi, come io stesso ebbi a dirgli due mesi prima della sua morte (3), ora alla Bibbia ed ora al diritto romano, e un metafisico fino alla punta dei capelli. Fu sua di grazia non aver mai studiato scienze naturali e non averne fatto proprio il metodo. Ebbe così degli impulsi geniali che gli fecero intuire la via giusta da percorrere, ma trascinato dalle cattive abitudini idealistiche del suo spirito, ricadeva sempre nei vecchi errori. É per questo che Proudhon è stato sempre in contraddizione con se stesso — un genio vigoroso, un pensatore rivoluzionario, dibattentesi continuamente contro i fantasmi dell’idealismo senza mai giungere a vincerlo.
« Marx come pensatore, invece è sulla via buona. Egli ha stabilito come principio che tutte le evoluzioni politiche, religiose e giuridiche nella storia sono, non le cause, ma gli effetti delle evoluzioni economiche. Grande e feconda idea, che se egli non fu il primo ad enunciare (essa era già stata intuita e in parte espressa da parecchi altri), ebbe il merito di averla solidamente stabilita e posta come base di tutto un sistema economico. D’altra parte, Proudhon aveva compreso e sentito la libertà molto meglio di lui. Proudhon, quando non faceva della dottrina e della metafisica, possedeva il vero istinto del rivoluzionario; adorava la figura di Satana e proclamava la necessità dell’anarchia. É possibilissimo, invece, che Marx possa teoricamente elevarsi alla concezione di un sistema della libertà ancor più razionale di quello di Pourdhon, ma l’istinto della libertà gli manca: egli è un autoritario dalla testa ai piedi ».
Nel 1847 Bakounine vide arrivare a Parigi Herzen e Ogaref, che avevano lasciato la Russia per vivere in Occidente; rivide anche Bélinsky, allora in tutta la pienezza della sua potenza intellettuale e che doveva morire l’anno seguente. Per un discorso da lui pronunciato il 29 novembre 1847 al banchetto dato in commemorazione della insurrezione polacca, Bakounine fu, dietro domanda dell’Ambasciata russa, espulso dalla Francia. Per togliere le simpatie che si erano intorno a lui manifestate, il rappresentante della Russia a Parigi, Kisselef, fece correr voce che egli, Bakounine, era stato al servizio dell’ambasciata, la quale lo aveva adoperato, ma che ora vedevasi obbligata a sbarazzarsi di lui perchè erasi spinto innanzi più che convenisse. (Lettera di Bakounine a Fanelli del 29 maggio 1867). Il conte di Duchàtel, ministro dell’interno, interpellato alla Camera dei pari in proposito, si trincerò dietro calcolate reticenze per dar credito alla calunnia immaginata da Kisseleff, che doveva ben presto ripercuotersi altrove. Bakounine andò a Bruxelles dove abitava Marx, espulso anche lui di Francia fino dal 1945. Da Bruxelles ebbe a scrivere al suo amico Herwegh le parole seguenti:
« I tedeschi — Bornstedt, Marx, Engels e degli operai — e sopra tutti Marx, fanno qui il loro solito male. Vanità, cattiveria, pettegolezzi, rodomontate in teoria e pusillanimità in pratica; dissertazioni sulla vita, l’azione e -la semplicità, e assenza completa di vita, di azione, di semplicità; ripugnanti lusinghe verso gli operai più intellettuali o loquaci. Secondo questa gente ” Feuerback è un borghese “; e l’epiteto di borghese viene ripetuto a sazietà da persone che altro non sono, dal capo alle piante, che borghesi di provincia. In una parola, menzogna e sciocchezza, sciocchezza e menzogna. In una società come questa non c’è modo di respirare liberamente; mi tengo, per ciò, lontano da loro ed ho francamente dichiarato che non parteciperò alla Kommunistischer Handwerkerverein e che non voglio per nulla impacciarmi con questa società ».

III

La rivoluzione del 24 febbraio aprì a Bakounine le porte di Francia. Si affrettò a far ritorno a Parigi; ma, poco dopo, la notizia degli avvenimenti di Vienna e di Berlino lo decise a partire per la Germania (aprile), donde sperava potersi portare in Polonia, per prender parte ai movimenti insurrezionali. Passò per Colonia, ove Marx e Engels stavano per cominciare la pubblicazione della Neue Rheinische Zeitung.
Era il momento in cui la Legione democratica tedesca di Parigi, che aveva a capo Herwegh, fece nel granducato di Baden quel tentativo insurrezionale che ebbe un esito tanto disgraziato. Marx attaccò, allora, Herwegh con molta violenza; Bakounine prese le difese del suo amico e la ruppe con Marx. Più tardi Bakounine a questo proposito ebbe ad esprimersi nel modo seguente (1871, manoscritto francese): « In quella occasione, lo penso oggi e lo dico francamente, erano Marx ed Engels che avevano ragione; essi meglio di me giudicavano le condizioni generali. Attaccarono Herwegh con la mancanza di riguardo loro propria ed io presi, a Colonia, calorosamente la difesa dell’assente. Da ciò la nostra discordia ». Si recò poi a Berlino e a Breslavia, e di là a Praga, ove tentò inutilmente di far propaganda democratica e rivoluzionaria al Congresso slavo (giugno) ed ove prese parte al movimento insurrezionale duramente represso da Windischgràtz. Quindi ritornò a Breslavia. Durante il suo soggiorno in questa città la Neue Rheinische Zeitung pubblicò (6 luglio) una corrispondenza da Parigi così concepita: « A proposito della propaganda slava, ci si è ieri affermato che Giorgio Sand si trova in possesso di carte che compromettono molto il russo Michele Bakounine espulso dalla Francia, e lo rappresentano come uno strumento o un agente della Russia di recente arruolato, al quale si attribuisce la parte principale negli arresti di fresco avvenuti dei disgraziati polacchi. Giorgio Sand ha mostrato queste carte ad alcuni suoi amici ».
Bakounine protestò immediatamente contro questa infame calunnia con una lettera da Breslavia pubblicata nel giornale Allgemeine Oder-Zeitung (lettera che la Neue Rhetnische Zeitung riprodusse il 16 luglio), e scrisse a Giorgio Sand per pregarla di spiegarsi circa l’uso che si era fatto del di lei nome. Giorgio Sand rispose con una lettera al redattore della Neue Rheinische Zeitung, datata da La Chatre (Indre) il 20 luglio 1848, nella quale diceva: « I fatti riferiti dal vostro corrispondente sono completamente falsi. Non ho mai posseduto la minima prova delle insinuazioni a cui cercate di dar credito contro il signor Bakounine. Non sono mai stata, dunque, autorizzata a emettere il più piccolo dubbio sulla lealtà del suo carattere e sulla sincerità delle sue opinioni. Mi appello al vostro onore e alla vostra coscienza per la inserzione immediata di questa lettera, nel vostro giornale ». Marx inserì la lettera, e dette nel tempo stesso la spiegazione seguente della pubblicità accordata alla calunnia del suo corrispondente di Parigi: « Abbiamo così adempiuto il dovere della stampa di esercitare sugli uomini pubblici una stretta sorveglianza e abbiamo dato, nello stesso tempo, al signor Bakounine l’occasione di dissipare un sospetto che era davvero emesso in alcuni ritrovi di Parigi ». E’ inutile insistere su questa singolare teoria per la quale la stampa avrebbe il dovere di accogliere e pubblicare la calunnia, senza prendersi cura di controllare prima i fatti.
Il mese seguente, Bakounine vide Marx a Berlino ed ebbe luogo una apparente riconciliazione fra loro. Bakounine scrisse su ciò nel 1871 (manoscritto francese) quanto segue: « Degli amici comuni ci costrinsero ad abbracciarci. E allora in una conversazione mezzo scherzosa e mezzo seria, Marx mi disse: « Sai che ora mi trovo alla testa di una società comunista segreta, così ben disciplinata che se dicessi ad un solo dei suoi membri: Va ad uccidere Bakounine, questi ti ucciderebbe?… ». Dopo questa conversazione non ci rivedemmo più fino al 1864 ».
Ciò che Marx aveva detto, scherzando, a Bakounine nel 1848, doveva tentare di farlo davvero ventiquattro anni dopo. Quando, nell’Internazionale, l’opposizione dell’anarchico rivoluzionario sarà diventata un ostacolo per la dominazione personale che Marx pretendeva esercitare, egli tenterà di sbarazzarsi di lui con un vero assassinio morale. Espulso dalla Prussia e dalla Sassonia, Bakounine passò il resto del 1848 nel principato di Ankalt, dove pubblicò in tedesco il suo opuscolo: « Aufruf an die Slaven, von einen russischen Patrioten, Michael Bakunin, Mitglied des Slavencongresses ». In esso sviluppava questo programma: unione dei rivoluzionari slavi con i rivoluzionari delle altre nazioni — ungheresi, tedeschi, italiani — per la distruzione delle tre monarchie oppressive, impero di Russia, impero d’Austria, regno di Prussia; libera federazione dei popoli slavi emancipati. Marx credette di dover combattere queste idee e lo fece sulla Neue Rheinische Zeitung (14 febbraio 1849). « Bakounine è nostro amico — scriveva — ma ciò non ci tratterrà dal criticare il suo opuscolo ». E così formulava la sua opinione: « A parte i Polacchi, i Russi e forse anche gli Slavi della Turchia – nessun popolo slavo ha un avvenire, per la semplice ragione che a tutti gli altri slavi mancano le prime condizioni storiche e geografiche, politiche e industriali della indipendenza e della vitalità ».
A proposito di questa differenza fra il suo modo di pensare e quello di Marx, Bakounine ha scritto (1871, manoscritto francese): « Nel 1848, ci siamo trovati divisi d’opinione, e debbo dire che la ragione fu molto più dalla sua parte che dalla mia… Trascinato dall’ebrezza del movimento rivoluzionario, io era molto più occupato del lato negativo che del lato positivo di questa rivoluzione… Pertanto vi fu un punto in cui ebbi ragione. Come slavo, io volevo l’emancipazione della razza slava dal giogo dei tedeschi…. e, come patriotta tedesco, Marx allora non ammetteva, come non ammette adesso, il diritto degli slavi di emanciparsi dal giogo dei tedeschi, pensando che questi abbian la missione di civilizzarli, e cioè di germanizzarli per amore o per forza ».
In gennaio 1849, Bakounine si portò segretamente a Lipsia, per fare i preparativi, d’intesa con un gruppo di giovani czechi di Praga, per una insurrezione in Boemia. Malgrado i progressi della reazione in Francia e in Germania, v’era ancora ragion di speranza, poiché in più punti d’Europa la rivoluzione non era ancora stata soffocata: a Pio IX, cacciato da Roma, s’era sostituita la repubblica romana con a capo il triumvirato Mazzini, Saffi e Armellini e, per generale, Garibaldi; Venezia, resasi libera, sosteneva contro gli austriaci un assedio eroico; gli Ungheresi insorti contro l’Austria e diretti da Kossuth, proclamavano il decadimento della casa d’Asburgo. In questo frattempo scoppiò a Dresda (3 maggio 1849) un sollevamento popolare, provocato dal rifiuto del re di Sassonia d’accettare la Costituzione dell’Impero tedesco, che aveva proclamato il Parlamento di Francoforte; il re dovette fuggire, fu instituito un governo provvisorio (Heubner, Tzschirner e Todt) e gli insorti restarono padroni della città per cinque giorni. Bakounine che aveva lasciato Lipsia per Dresda nell’aprile, divenne uno dei capi degli insorti e contribuì a far prendere i più energici provvedimenti per la difesa delle barricate contro le truppe prussiane (il comandante militare fu dapprima il luogotenente-colonnello Heinze, poi, dall’8 maggio, il giovane tipografo Stefano Born, che aveva organizzato, l’anno precedente, la prima associazione generale degli operai tedeschi, Varbeiter-Verbrüderung). La statura gigantesca di Bakounine e la sua qualità di rivoluzionario russo attirarono particolarmente l’attenzione su lui, e intorno alla sua persona si formò una leggenda: a lui solo furono attribuiti gli incendi suscitati per la difesa; egli era – si scrisse — « la vera anima della rivoluzione », « esercitava un terrorismo, che incuteva spavento », « aveva consigliato, per impedire ai Prussiani di far fuoco sulle barricate, di porvi i capolavori della galleria di quadri… ».
Il 9, gli insorti, indietreggiando davanti a forze superiori, effettuarono la loro ritirata su Freiberg. Qui, Bakounine tentò di ottenere da Born che, con i combattenti che gli restavano, passasse sul territorio boemo per tentarvi una nuova insurrezione; ma questi si rifiutò e licenziò le sue truppe. Allora, vedendo che non c’era più nulla da fare, Heubner, Bakounine e il musicista Riccardo Wagner si diressero alla volta di Cheminitz. Nella notte dal 9 al 10, dei borghesi armati arrestarono Heubner e Baokunine e li dettero in mano ai Prussiani; Wagner, che si era rifugiato presso sua sorella, riuscì a porsi in salvo.
La condotta di Bakounine a Dresda fu quella di un combattente risoluto e d’un capo chiaroveggente. In una delle sue lettere alla New York Daily Tribune (numero del 2 ottobre 1852), On Revolution and Contre-Revolution in Germany, Marx, malgrado la sua ostilità, dovette riconoscere il servizio reso da Bakounine alla causa rivoluzionaria. « A Dresda — ebbe a scrivere — la lotta durò nelle vie della città quattro giorni. I bottegai di Dresda e la « guardia comunale » non solo non combatterono, ma spesso favorirono l’azione delle truppe contro gli insorti. Questi che si componevano quasi esclusivamente di operai dei distretti manifatturieri, trovarono un capo abile ed energico nell’esule russo Michele Bakounine ».

IV

Trasportato nella fortezza di Kònigstein (Sassonia), Bakounine dopo parecchi mesi di detenzione preventiva fu, il 14 gennaio 1850, condannato a morte; in giugno la pena fu commutata in quella del carcere a vita e, nello stesso tempo, il prigioniero fu consegnato all’Austria che lo reclamava. In Austria fu dapprima detenuto a Praga e poi (marzo 1851) nella cittadella di Olmiitz, ove il 15 maggio 1851 fu condannato ad essere impiccato; ma la pena fu di nuovo commutata in carcere perpetuo. Nelle prigioni austriache Bakounine fu trattato in modo durissimo: aveva i ferri ai piedi ed alle mani e, a Olmùtz era incatenato alla muraglia per la cintura.
L’Austria, poco dopo la condanna, lo consegnò al governo russo. In Russia fu chiuso nella fortezza di Pietro e Paolo, nel « rivellino d’Alessio ». Al principio della sua prigionia, il conte Orlof gli venne a dire che lo czar Nicola domandava da lui una confessione scritta. Baokunine, riflettendo (lettera a Herzen dell’8 dicembre 1860) « che si trovava in potere di un orso »; e che, d’altra parte, « tutti i suoi atti essendo perfettamente noti, egli non aveva alcun segreto da rivelare », si decise a scrivere.
Nella sua lettera diceva allo czar: « Voi desiderate aver la mia confessione; ma non dovete ignorare che il penitente non è obbligato a confessare i peccati altrui. Non ho di salvo che l’onore e la coscienza di non aver mai tradito chi ha posto in me fiducia; perciò non vi farò dei nomi ». Herzen racconta (Oeuvres posthumes) che quando Nicola ebbe letto la lettera di Bakounine esclamò: « É un bravo giovane e pieno di spirito, ma pericoloso, e bisogna tenerlo ben chiuso ». Al principio della guerra di Crimea, siccome la fortezza di Pietro e Paolo poteva trovarsi esposta ad essere bombardata e presa dagli inglesi, si trasferì il prigioniero a Schlüsselbour (1854); là fu assalito dallo scorbuto e gli caddero tutti i denti.
Ecco che cosa l’autore di queste note scriveva, su questo ultimo periodo della prigionia di Baokunine, all’indomani della morte di lui: « L’atroce regime del carcere aveva rovinato completamente il suo stomaco. Egli ci diceva che verso la fine della sua prigionia lo aveva preso talmente il disgusto di tutti i cibi, che non d’altro poteva nutrirsi se non di cavoli sminuzzati. Ma se il corpo si infiacchiva, lo spirito restava eretto e forte. Temeva egli, sopratutto, di trovarsi un giorno ridotto, per l’azione debilitante del carcere, allo stato di prostrazione spirituale di cui abbiamo un esempio sì noto in Silvio Pellico; temeva di cessare di odiare, di sentire spegnarsi nel suo cuore il sentimento di ribellione che lo animava e di giungere a perdonare ai suoi carnefici e rassegnarsi alla sorte. Ma questo timore era vano: la sua grande energia non lo abbandonò un sol giorno e uscì dal carcere tale quale vi era entrato. Egli ci raccontava che, per distrarsi nei lunghi tedii della solitudine, egli soleva richiamar nella memoria la leggenda di Prometeo, il titano benefattore degli uomini incatenato ad una rupe del Caucaso per comando dello czar dell’Olimpo; pensava anche di drammatizzarla e noi ricordiamo ancora la melodia dolce e lamentosa, da lui composta, del coro delle ninfe dell’oceano, consolatrici della vittima di Giove » (Bullettin de la Fédération jurassienne de l’Internationale, supplemento al numero del 9 luglio 1876).
Alla morte di Nicola, si sperò che il cambiamento di regno fosse per portare qualche alleggerimento alle tristi condizioni dell’indomabile rivoluzionario: ma Alessandro II cancellò di sua propria mano il nome di Bakounine dalla lista degli amnistiati. La madre del prigioniero essendosi, un mese dopo, presentata al nuovo czar per impetrar grazia pel figlio, ebbe dall’autocrate questa risposta:
« Sappiate, signora, che vostro figlio non potrà esser mai libero ».
La prigionia di Baokunine si prolungò, dopo la morte di Nicola, due anni ancora; lo czar Alessandro restava sordo a tutte le preghiere che gli eran rivolte. Un giorno lo czar, tenendo in mano la lettera che Baokunine aveva scritto nel 1851 a Nicola, si rivolse al principe Gortchakof, ministro degli affari esteri, dicendogli: « Ma io non vedo il minimo pentimento in questa lettera! ».
Finalmente, nel marzo 1857, Alessandro si lasciò piegare e consentì a commutare la prigione a vita nell’esilio in Siberia. Bakounine fu internato a Tomsk. Verso la fine del 1858 vi si maritò con una giovane polacca, Antonia Kwiatkowska, e, subito dopo, grazie all’azione spiegata dal suo parente dal lato materno Mouravief-Amoursky, governatore della Siberia Orientale, potè ottenere di andare a risiedere a Irkoutsk (marzo 1859), dove entrò al servizio della compagnia dell’Amour e, poi, d’una impresa di miniere. Sperava di presto riacquistare la libertà e ritornare in Russia; ma essendo stato Mouravief obbligato ad abbandonare il suo posto per la opposizione che gli faceva la burocrazia, Bakounine comprese che solo un mezzo restavagli per diventar libero: l’evasione. Lasciato Irkoutsk (17 giugno 1861) col pretesto d’un viaggio di affari e di studi autorizzato dal governo, come rappresentante di un negoziante di nome Sabachnikof, raggiunse Nikolaievsk (luglio); là s’imbarcò sopra un vascello dello Stato (lo Strelok), che andava a De-Kastri, porto situato più al sud; poi, riuscì a passare, senza risvegliar sospetti, sulla nave mercantile Vikera, che lo condusse al Giappone, a Hokodadi, donde guadagnò Yokohama, poi S. Francisco e New-York (novembre). Il 27 dicembre 1861 arrivò a Londra, dove fu accolto come un fratello da Herzen e Ogaref.

Continua nella Seconda Parte

Note
(1) Per la redazione di queste note, all’infuori di ciò che era di mia cognizione, mi sono servito dell’ampio materiale raccolto da Max Nettlau e pubblicato da lui nella sua opera monumentale: Michael Bakunin, eine Biographie; Londra 1896-1900, 3 voi. in fol.
(2) Il professore Guglielmo Wogt aveva dovuto lasciare nel 1835, destituito per motivi politici, l’Università di Giessen, ed era divenuto professore all’Università di Berna. Aveva quattro figli: Carlo, il celebre naturalista; Emilio, giurista; Adolfo, medico; Gustavo, avvocato.
(3) Proudhon morì il 19 gennaio 1865.